Calzoni: "Il Toro è rimasto quello di un tempo, grazie ai tifosi"

13.02.2024 17:34 di  Marina Beccuti  Twitter:    vedi letture
Calzoni: "Il Toro è rimasto quello di un tempo, grazie ai tifosi"
© foto di Claudio Calzoni

TorinoGranata ha intervistato Claudio Calzoni, ex imprenditore e ora libero professionista, che ama, oltre al Toro e Torino, la letteratura fantastica, la musica prog e rock, la poesia. Il suo libro più prestigioso è “I Luoghi del Toro”, edito da Yume Book. Sul calcio scrive le cronache delle partite del Toro sulla pagina Facebook Controcalcio Radio web, del quale è anche collaboratore per la radio.

Come è andata la serata allo Sweet Bar parlando del tuo libro?

Direi che la serata, o meglio il tardo pomeriggio di venerdì 9 febbraio, in cui ho presentato il mio libro “I luoghi del Toro” (2019 Yume Book Editore) è andata molto bene sia per affluenza di pubblico sia, soprattutto, per l’accoglienza ricevuta e per il clima di esperienza conviviale che si è respirata in quello che è considerato il ritrovo per eccellenza dei ragazzi della Maratona e, non a torto, viene definito un Santuario del Tifo Granata. La presenza di tanti amici (tra cui Silvano Benedetti) è stata, per me, un motivo in più di soddisfazione.

Visto che sei uno scrittore, quali altri libri hai scritto?

Bella domanda. Ho pubblicato il primo libro di poesie tardissimo, a trent’anni, con una Casa Editrice milanese. Sono seguiti poi tutta una serie di romanzi e racconti, e parentesi bellissime come la collaborazione con Fegato Granata e la gestione di sette delle dieci pubblicazioni legate al Concorso di Letteratura Granata del Toro Club di Vigone (ricordate il meraviglioso Festival con la bandiera che vestiva il Campanile della cittadina del pinerolese?). In effetti tra romanzi e raccolte di poesie e racconti, e naturalmente il saggio presentato venerdì, ho superato la dozzina di pubblicazioni. Non sto a citarle tutte, visto che sono facilmente rintracciabili ed acquistabili su Amazon, ma sono particolarmente legato ai quattro romanzi che compongono il ciclo de “La Traccia del Fuoco”, una sorta di “thriller avventuroso”, con riferimenti storici ed esoterici, legatissimo a Torino ed ai grandi misteri internazionali. La cosa che mi fa più piacere è che molti miei romanzi sono stati tradotti in inglese, tedesco e spagnolo e sono disponibili in versione e-book.

Quando ci siamo sentiti hai parlato di com'era il Toro degli anni '80. Ora è cambiato, omologato al nuovo sistema calcio, fatto più di business che passione. Cosa ne pensi?

Il mondo cambia ed il calcio è cambiato con lui. Quello che penso è che il Toro, nonostante tutto, è invece rimasto, nei cuori dei tifosi, quello che era un tempo. Non a caso nelle nuove generazioni il colore granata è poco appetibile, se non attraverso l’intervento di irriducibili genitori, a loro volta ispirati da appassionatissimi nonni. La caratteristica di tutti i tifosi è di sentirsi “diversi” dagli altri, un po’ come gli Indiani citati da Mondonico. Ho giocato un po’ da giovanissimo, ed ho frequentato, da amico, molti ragazzi granata della mia generazione e conosco personalmente anche alcuni campioni dello scudetto. Il mio calcio è quello, legato al territorio, alle qualità umane e alle problematiche sociali rappresentate dai colori Granata e vorrei non fosse stato dimenticato, o denigrato, come purtroppo è successo. Il calcio è sempre stato, in fondo, un’impresa. Lo era anche negli anni Settanta e Ottanta, ma era diverso, qui in città, perché c’era ancora lo spirito del Grande Torino che aleggiava, e negli anni i tifosi trovavano soddisfazioni e risultati, e i derby facevano più paura agli altri che a noi. Ora tutto si è appiattito e la tendenza è quella di accentrare l’attenzione mediatica e popolare su poche, ricchissime (sul serio o per finta) società. Presto i calciatori saranno paragonabili ai cantanti, o agli attori sul palco, vedi ciò che sta succedendo in Arabia. E questo porterà alla noia.

In questo periodo però assistiamo ad un cambio di passo, giocatori che sono laureati e si interessano di cultura. Buongiorno, laureato, Masina che parla di Schopenhauer, un segno che qualcosa sta cambiando?

Stanno cambiando le generazioni. Alcuni tra i ragazzi che hanno la fortuna (ed il merito) di giocare in serie A, hanno forse più voglia e più capacità economiche per studiare, e raggiungere obiettivi un tempo impensabili. Ma non dimentichiamo che non sono mai mancati giocatori laureati, impegnati politicamente e nel sociale o appassionati d’arte. Ricordiamo Socrates, per esempio e, restando a casa nostra, il compianto Gigi Meroni. Non dimentichiamo che il mitico Gianni Bui sta girando l’Italia con le mostre dei suoi bellissimi quadri. Le generazioni hanno tutte le loro eccellenze, Buongiorno e Masina penso lo siano.

Sei d'accordo che nei settori giovanili dovrebbero trovare più spazio gli italiani, anche per aiutare la nazionale?

Il mio rapporto con il calcio è quasi monotematico, penso al Toro e al risultato degli altri, ed è legato a valori che ormai sono lontani dalla quotidianità. Non penso, e questo è un parere personale, che il problema della Nazionale siano gli stranieri arrivati nelle giovanili del calcio italiano, per motivi economici e di sudditanza dei club vero i procuratori. Se non si trovano più grandi talenti sui campi italiani la colpa è da suddividere tra l’eccesso di tattica e di cultura fisica richiesta dagli allenatori, che è andato a scapito della tecnica individuale, e l’atteggiamento di esaltazione che viene alimentato intorno ai ragazzi che iniziano a distinguersi già giovanissimi, per poi disperdersi, come sempre è successo, tra problemi fisici e quelli generati dalla dura, durissima vita dei professionisti. Un minimo di umiltà, a partire dai genitori, credo sia necessaria per riportare tutto nella normalità. Ma non credo si possa tornare indietro.

Venendo all'attualità cosa pensi delle esternazioni di Juric?

Non vorrei commentare le parole dette e poi rimangiate di fronte ai giornalisti dall’allenatore, lasciato incomprensibilmente solo a giustificarsi, senza una presa di posizione seria, o anche solo una parola, della Società. I due pareggi della scorsa settimana, soprattutto quello interno con la Salernitana, hanno evidenziato i grossi limiti tecnici, fisici e qualitativi della squadra e depresso tutto il popolo granata, ormai abituato a situazioni simili, già vissute innumerevoli volte. Le parole dell’allenatore hanno ribadito quanta distanza ci sia tra il modus operandi della società e il sentimento comune dei tifosi che rappresentano ancora, e sempre, il vero Spirito Toro, nonostante i tentativi d’annacquamento e di omologazione operati dall’alto.

Secondo te Cairo prima o poi venderà?

I motivi per cui l’imprenditore alessandrino ha assunto la presidenza della società, operando un sistema dirigenziale verticistico, sono quasi esclusivamente economici (attenzione non è un peccato). E non mi pare che la scelta sia stata così sbagliata sotto quel punto di vista, analizzando la popolarità ottenuta. In tutti questi anni però è mancata l’interazione con la città, l’attenzione per le esigenze morali dei tifosi e la capacità di una programmazione tecnica che portasse a qualche risultato importante ottenuto sul campo. Secondo me, ma è un pensiero personale, il presidente venderà quando sarà certo di non avere più ritorni economici dalla società e prima che il prodotto diventi logoro. Scelta logica. Il problema però, a mio modesto parere, non è che non si trova sul mercato chi comprerebbe il Toro, (come dicono alcuni “compralo tu, il Toro”) ma quanto l’acquirente sarà costretto a sborsare. Ricordiamoci che negli ultimi anni le condizioni in città sono cambiate moltissimo.

Come finirà l'attuale stagione e chi vedresti sulla panchina del Toro se Juric andrà via?

L’obiettivo Europa, a meno che non succeda qualcosa di tremendo alle squadre che ci stanno davanti (perdere i due perni della difesa, avere un attaccante dei tre sempre rotto e l’altro che non la mette più dentro) è ormai andato a farsi benedire. A queste condizioni rinnovare il contratto a Juric sarebbe uno sbaglio, sia dal punto di vista economico sia da quello dei risultati ottenuti. Degli allenatori non bisogna parlare, che azzeccano una serie di partite poi sbagliano le altre. Non vedo nessuno superiore agli altri se non l’ormai inarrivabile Thiago Motta. La grinta di Gattuso sarebbe interessante, ma la grinta, a quanto pare, non basta per ottenere i risultati.