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Sampdoria, Palombo: "Quest'estate ho avuto un'offerta dal Torino"

di Claudio Colla

In procinto di diventare il giocatore della Sampdoria più prolifico di sempre in fatto di gare ufficiali disputate con la maglia blucerchiata (a sole 11 gare di distanza da Fausto Salsano, in vetta a 376), Angelo Palombo, tornato nel progetto tecnico con l'avvento di Delio Rossi e reinventato difensore centrale, si apre così, con grande franchezza, dalle pagine del sito ufficiale del club: "Come ho sempre detto, non sarei mai andato via. L'ho fatto perché in quel caso c'erano tutte le premesse per fare bene, a me e alla Sampdoria. Mi è stata chiesta una cortesia e, per il rispetto alla famiglia Garrone alla quale devo tanto, ho accettato.

Il rifiuto alla Fiorentina? Non l'ho mai detto, ma se fossi stato nella società avrei detto a Palombo vai, più che altro per le cifre che c'erano in ballo. Io però non volevo abbandonare la barca che affondava. Io, come alcuni miei compagni, non ce ne saremmo andati. Non ce la facevo come persona, anche se fosse venuto il Real Madrid.

La panchina in B? Me lo meritavo. Ce lo meritavamo un po' tutti a dire il vero, ma fare fuori il capitano poteva dare una scossa maggiore alla squadra. Io ci sono stato male, l'ho presa male, ero arrabbiato, però ho cercato di allenarmi bene, senza creare problemi. La Sampdoria, in quel momento, aveva bisogno di tutto fuorché di altri problemi.

Dell'esperienza all'Inter posso solo parlare bene. Ringrazio i compagni, il presidente Moratti che è una persona strepitosa. Ho un buon rapporto con Ausilio, lo sento ancora, e Stramaccioni mi faceva i complimenti per come mi comportavo e mi allenavo. Poi, si sa, un giocatore in prestito forse fa meno gola rispetto a quelli di proprietà. E lì è stata un'altra mazzata: stavo male per essere andato via di qui, dopo una ventina di giorni ho iniziato a essere il nuovo Angelo, ma è diventato difficile dimostrare qualcosa in tre partite, e nemmeno 180 minuti.

Per un periodo avevo perso stima in me stesso. Quando si sta male, si vede tutto nero. Era difficile potermi esprimere su buoni livelli come avevo sempre fatto. Non so nemmeno io dove ho preso la forza per poi ricominciare. Nei mesi scorsi sono state scritte tante cose che non erano vere, tipo che non me ne volevo andare per una ripicca, o che avevo smesso di giocare, o che sono uno scemo; cose che mi hanno fatto rimanere male».

Essere escluso dalla Nazionale mi ha fatto male e parecchio. Negli anni ho dimostrato di essere un buon giocatore, e di essere stimato da più commissari tecnici. Non sono arrivato là per caso. Questa cosa mi distruggeva. Non potevo fare fatica in Serie B, ci pensavo giorno e notte. Mi faceva star male e non andavo sereno in campo.

Ho sofferto più del dovuto in tante situazioni. Dovevo stare più distaccato. Tante volte prendendosela troppo non si riesce a dare quello che si vuole. Dovevo ragionare più con la testa che con il cuore. Però, come ha detto il mio amico Daniele De Rossi riguardo alla Roma, io rifarei tutte le scelte in positivo e in negativo per la Sampdoria. Non mi sono mai pentito nemmeno per un secondo di non aver preso in considerazione certe offerte sia sul piano economico sia, soprattutto, su quello professionale. La scelta tecnica non la discuto: non sono rimasto per fare un dispetto a società, a Sensibile, a Ferrara o ai miei compagni. Me ne sono guardato bene. Sono rimasto perché sapevo che sarebbe arrivato il mio momento.

Sì, ho avuto qualche offerta, dal Torino, dal Bologna. Dalla Russia ne è arrivata una molto importante, anche in termini economici. Ma mi sono impuntato. Ripeto: non ero io quello dell'ultimo anno. Avevo voglia di rivalsa personale: non era possibile che la storia con la Samp dovesse finire così.

Non ho mollato, ho cercato di farmi trovare pronto. Se uno molla, quando si presenta l'occasione fai fatica, magari sei sovrappeso o scarico. Per evitare questo ho accettato di fare qualche partita in Primavera, ma poi mi dispiaceva portare via il ruolo a un ragazzino e ho lasciato perdere. Sono le motivazioni che mi hanno portato sino ad oggi: avevo voglia di rivalsa e questa è stata determinante.

La scorsa estate, al mio ritorno, mi sono detto: male che vada mi giocherò il posto qui. Già quello era uno stimolo che mi ha aiutato a vedere le cose in maniera differente. Quando uno torna a casa e si sente a casa sta già meglio. Ho anche spalmato l'ingaggio per far vedere di essermi rimesso in pista, in carreggiata, in discussione. Ho cercato di dare quel segnale e di ripartire da decimo centrocampista, con la consapevolezza di ricominciare in un gruppo che era tornato in Serie A. Sono rientrato in punta di piedi come un giocatore normalissimo.

La società paga e può fare quello che vuole. Quando si prende una linea di condotta è giusto che si cerchi di mantenerla. Secondo me, però, restare fuori dalle convocazioni anche delle amichevoli era esagerato, sarebbe stato difficile per me trovare squadra senza mai vedere il campo. Ora non ci penso più e non mi interessano certi discorsi: sono contento e voglio migliorarmi. Ho 31 anni, sto bene e soprattutto sto bene mentalmente.

Nei momenti delle esclusioni dalle amichevoli o di quando mancavano quattro o cinque centrocampisti pensavo che non ci fosse più niente da fare. Era dura, ma me l'ero cercata io e non mi sarei mai sognato di fare casino, anche per il rispetto di Riccardo e di Edoardo Garrone, che con me si erano sempre comportati benissimo.

Delio Rossi è stato subito chiaro. Prima di parlare con lui avevo un po' di ansia, un po' di agitazione. Pensavo: se questo mi dice che sono di troppo? Poi, per fortuna non è andata così e da lì è finita la sofferenza, sportiva, sia chiaro: nella vita c'è che soffre di cose ben peggiori. Mi sono liberato come di un peso da dentro lo stomaco. Mi ha chiesto cosa volessi fare, e mi ha assicurato che non esisteva nessuna preclusione nei miei confronti: se meriti giochi, se non meriti non giochi. Lo ringrazio, è un'ottima persona e non credo che mi regali niente. È stato leale, trasparente e non mi ha nascosto niente».

Mentalmente sono un centrocampista e penso di esserlo ancora. Il mio ruolo è quello e il mister lo sa. Ora c'è bisogno in difesa e mi adatto a fare il difensore, anche perché tornare a giocare è già stato un bel sogno realizzato. A tre o a quattro è indifferente, forse si riesce a leggere meglio le giocate a tre, ma cambia poco: dietro si lavora comunque di più sotto l'aspetto dell'attenzione. Fisicamente poi faccio meno fatica e questo forse è stato un bene per recuperare il ritmo-partita. Da un lato fare più ruoli è positivo, è una soluzione in più che posso giocare a mio favore, ma, ripeto: sto bene e a centrocampo, potrei correre come facevo prima.

La rivincita l'ho presa con me stesso. Umanamente mi dispiace per chi è andato via: so come ci si sente a essere esclusi. Rivincite non ne voglio: voglio fare il bene mio e soprattutto quello della Samp, come ho sempre cercato di fare.

Per strada non c'è mai stato qualcuno che mi abbia detto qualcosa in negativo. Non so se facessero finta o meno, ma vattene non me l'ha mai detto nessuno. Le critiche e le malignità, siamo essere umani, è normale che ti facciano rimanere male, soprattutto nei confronti di chi, come me, si è sempre comportato con rispetto. Di sicuro, ho capito che la gente non si era dimenticata di me: sentire il coro al mio ritorno con la Lazio è stata un'emozione bellissima.

Mi avevano chiesto la cortesia di rimanere qui, andare su in ritiro poteva alimentare qualche polemica. Ho accettato tranquillamente di allenarmi a Bogliasco, pur di non creare problemi alla Samp. E ci tengo a dire una cosa a riguardo: quando sono rientrato in gruppo, i miei compagni mi hanno fatto sentire subito uno di loro. Questa mia gioia per le ultime vittorie della Samp e per il mio ritorno è anche merito loro e con loro voglio condividerla.

Chi va a Roma perde la poltrona. È normale: io sono andato via, Gasta è diventato capitano e sono tornati in Serie A. Io la penso così: meglio in A senza Palombo che in B con Palombo. In questi mesi si sono creati equilibri e sarebbe poco intelligente pretendere la fascia. Uno le cose se le deve guadagnare. Sempre onorato di averla, ma ora è l'ultimo dei miei pensieri.

Tornare in azzurro sarebbe come ricevere la prima convocazione, come tornare bambino: sarebbe una felicità enorme. Da difensore? Mai dire mai, se uno sa ricoprire più ruoli ha più possibilità di rientrare in un contesto. Però pensiamo a salvarci, a fare più punti possibili e poi vediamo cosa succede.

Dobbiamo essere contenti, è stato bello potere dedicare il 6-0 al Pescara al Presidente e alla sua famiglia. Ma sappiamo che basta poco per tornare giù, e lo si è visto a Siena. La partita di domenica scorsa capita una volta ogni trent'anni, dobbiamo dimenticarla ricordandoci soltanto il modo in cui l'abbiamo affrontata. Lo scontro col Torino non sarà determinante, però se giochiamo da Sampdoria possiamo fare bene. Se siamo tutti a mille possiamo giocarcela contro chiunque.

Ne sono uscito fortificato e migliorato, come giocatore ma soprattutto come uomo. Ho migliorato il carattere, ho cambiato in un certo senso il modo di ragionare. I miei errori li ho sempre fatti ma sempre in buona fede. Mi dispiace di aver perso un anno di partite con la Samp, ma ho imparato a conoscere anche tanta gente. Questo è poco ma sicuro.

Posso dire di essere fiero e orgoglioso di fare parte del progetto Sampdoria, del presente e del futuro. Chiudere la carriera qui è sempre stato il mio desiderio. Cercherò di aiutare la società a far crescere i ragazzi più giovani, dobbiamo continuare su questa strada. Ho ancora tanta rabbia dentro da tirare fuori sul campo".


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