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E se restasse? Un viaggio nella mente di Danilo D'Ambrosio

di Matteo Maero

Che Danilo D'Ambrosio sia il protagonista dell'attualità granata è sotto gli occhi di tutti. Non passa giorno, per non dire ora, senza che esca un'indiscrezione, un rumor, un spiffero riguardante il futuro, immediato o meno, del ragazzo di Caivano. Alcuni arrivano da Milano, altri da Roma, certi dalla sponda opposta di Torino ed hanno il sapore della cessione immediata oppure del parametro zero. Così, attraverso la commistione di tutti questi elementi, vengono prodotte giornalmente tutte quelle voci che allontanano D'Ambrosio dalla squadra che lo ha "cresciuto" più di quanto hanno fatto le altre in cui a militato.

La società Torino ha parlato raramente della situazione del suo tesserato e sempre in maniera abbastanza ambigua, come si addice a chi non vuole dare punti di riferimento rispetto ad un futuro che appare da una parte già scritto e dall'altra incerto. In tutto questo turbinio di notizie manca solo la voce del diretto interessato, che non ha interesse a "sbottonarsi".

Dunque, sappiamo tutto sul futuro di Danilo meno ciò che è più importante, ovvero ciò che pensa lui stesso. Sarebbe riduttivo considerare un D'Ambrosio concentrato solo sull'impegno in campo, perché l'insistenza del battage mediatico farebbe effetto anche al più concentrato e freddo degli uomini. Dall'altro canto, sarebbe irrispettoso pensare che la confusione regni sovrana nel gulliver del caivanese, viste anche le prestazioni recenti.

Benché non abbia né i titoli né le capacità per ascendere al ruolo di Sigmund Freud del mondo granata, provo a dare un'interpretazione ipotetica del pensiero del terzino, tenendo conto di ciò che si vede tra partite e allenamenti. Danilo gioca bene e si allena con concentrazione, condizioni che si addicono non solo alla professionalità tipica dei buoni giocatori, ma anche a chi vive con consapevolezza il proprio presente. Nel caso di D'Ambrosio, questa presa di coscienza potrebbe coincidere con la certezza del proprio futuro. Esemplificando, lui conosce già la decisione da prendere ed a giudicare dalla tranquillità, sembra essere incontrovertibile. 

I pessimisti potrebbero ricondurre questa consapevolezza al trasferimento altrove, ma prima è necessario porsi un interrogativo: dov'è la tendenza al "rilassamento" tipica di chi sa che tanto non avrà più nulla da dire nella squadra in cui si trova? Non c'è e non si può spiegare solo con la professionalità. Così, come ad ogni quesito irrisolvibile che si rispetti, è necessario rispondere con un'ulteriore domanda. E se restasse?

Preferisco non dilungarmi né rispondere a questo ultimo quesito, lasciando al cuore di ogni tifoso una risposta che lo accontenti. La speranza è che la stessa domanda se la sia rivolta in seconda persona singolare anche D'Ambrosio, qualunque sia stata la risposta.


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