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Ferrini, in ricordo di un uomo che fece la storia del Toro

di Marina Beccuti

I mesi autunnali portano sempre un po' di malinconia. Le giornate più corte e il sole che non bacia più la pelle con il suo calore. Se poi li abbiniamo al Torino non portano bei ricordi ma tristi emozioni, a ottobre la morte tragica di Meroni e a novembre, esattamente l'8, l'addio precoce a colui che è stato il Capitano per antonomasia del Torino dopo Valentino Mazzola, Giorgio Ferrini. Aveva solo 37 anni quando il suo cuore generoso di granata verace smise di battere. Tutta la sua carriera fu all'insegna del Toro, dal '55 (settore giovanile) al '75, con la breve parentesi di un anno al Varese, dove si mandavano via i giovani a farsi le ossa. Il centrocampista silenzioso ma grintoso divenne una delle icone della Torino granata, generoso, volenteroso, grande uomo. Attaccò gli scarpini al chiodo l'anno prima dello scudetto, che festeggiò comunque in panchina come vice di Gigi Radice, l'ultimo mister scudettato. Riuscì ancora a sorridere vedendo il Toro volare più in alto di tutti, poi la malattia, breve che se lo portò via in pochi mesi.

Giaceva là al Filadelfia, piantonato nella camera ardente dai giovani Primavera dell'epoca, l'orchidea di Zoff sulla bara e tanto silenzio e lacrime che scendevano. Ci andai con i miei genitori, li vidi piangere, capii chi era Giorgio Ferrini e che quel bel signore che ogni tanto passava sotto le mie finestre, con i suoi occhi azzurri, non l'avrei più visto camminare verso il Fila. Ora avrebbe corso nei nostri pensieri di inguaribili romantici. Ciao Giorgio, come ogni anno, il tuo ricordo che non ci lascia.


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