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La squadra di domani si costruisce oggi

di Elena Rossin

Novembre è un mese cruciale per il calcio, perché le società che sono più accorte e lungimiranti intavolano le trattative per formare le squadre del prossimo campionato. A primo acchito sembrerebbe una follia, perché si è ancora molto lontani dalla fine della stagione e quindi non conoscendo quali saranno i verdetti sul campo è difficile stabilire quali giocatori sono utili, quali possono fare da comprimari e quali non rientrano più nei piani societari. Eppure nonostante tutto ciò è proprio in questo periodo che si gettano le basi del futuro. Una società che vuole ottenere dei risultati deve fare progetti a medio-lungo termine, chi vive alla giornata può al massimo ottenere un successo momentaneo, ma non riuscirà mai a posizionarsi stabilmente ai vertici del calcio nazionale.

 

Fare progetti a medio-lungo termine significa non credere di poter ottenere subito risultati positivi, ma costruirli attraverso un periodo di transizione. Transizione non vuol dire rinunciare a vincere, anzi il fine è proprio quello, ma vuol dire intraprendere un percorso che porta alla meta. Dando per sottointeso che il Torino deve tornare in A, le decisioni che devono essere prese ai piani alti della società sono duplici: da una parte rinforzare la squadra per sopperire agli infortuni, che hanno privato Ventura degli uomini chiave sulle fasce, e poi aggiungere almeno un elemento che renda più pungente l’attacco al fine di garantire la continuità ai risultati fin qui ottenuti e dall’altra avere un organico che costituisca l’ossatura della formazione che giocherà in serie A. Compito arduo indubbiamente, ma necessario.

 

Per passare dalle idee ai fatti e rendere operativo il progetto bisogna percorrere queste due strade, che in effetti sono una il proseguimento dell’altra, due tappe intermedie, o se si vuole usare altri termini sono due scali tecnici, fondamentali per riportare la società granata stabilmente fra le prime dieci squadre italiane. Quindi i giocatori che possono rientrare nel mirino del Torino devono avere due caratteristiche fondamentali: non arrivare da un periodo di quasi inattività dovuto o a infortuni o all’essere ai margini della rosa, ed avere quelle doti caratteriali che li facciano esprimere al meglio nella piazza granata. Un calciatore infortunato, anche se guarito, ha bisogno di tempo per recuperare appieno la capacità di disputare a buon livello una partita dopo l’altra e quindi prenderlo a gennaio risulta poco utile per rafforzare la squadra. Se un calciatore è stato accantonato da Atalanta o Siena o Bologna, tanto per citare tre squadre a caso ma tutte militanti in A, vuol dire che forse o non è del tutto adatto a giocare in A o che ha problemi a relazionarsi con compagni ed allenatore o che patisce il vivere in una determinata città, quindi prima di prenderlo in considerazione bisogna essere certi che immesso in un altro contesto sia in grado di fare bene, altrimenti è una scommessa persa in partenza.

 

Pertanto se a gennaio il Torino dovesse prendere giocatori che arrivano da un infortunio o che sono ai margini della società in cui stanno militando vorrebbe dire che o non è capace ad agire sul mercato o che non ha l’intenzione di ritornare ad essere una fra le prime dieci squadre italiane. Non sarebbe una questione economica perché non è svenandosi che si comprano i giocatori giusti, ma è impostando un progetto a medio-lungo termine come hanno fatto in primo luogo l’Udinese, ma anche il Palermo e il Catania, ovvero conoscendo approfonditamente i campionati italiani ed esteri ed arrivando per primi sui giocatori che hanno doti fisiche, tecniche e caratteriali e poi i migliori si temgono e gli altri si mandano a maturare in altre società che hanno ambizioni e obiettivi più contenuti. Novembre è un mese cruciale e se si è lavorato bene a fine maggio si vedono i primi risultati che devono poi, alla luce anche ovviamente del mercato estivo, essere però confermati nella stagione successiva.


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