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Quagliarella e quel rispetto verso la tifoseria sbagliata

di Alex Bembi
Fonte: Alex Bembi per Torino Granata

Sono rari i gesti che nel calcio riescono a unire tutti gli appassionati. Gesti tecnici come quello di Maradona a Messico ’86, riconosciuto universalmente come un gol leggendario. Gesti atletici di eccessiva vigoria volti a far male all’avversario, sono condannati da qualunque sportivo anche se tifoso. Solitamente invece, la semantica cambia a seconda dell’osservatore: persino un gesto folle come il calcio volante di Eric Cantona ad un tifoso dello United ha avuto condanne, ma anche giustificazioni per le provocazioni ricevute.

Ieri uno di quei rari momenti che uniscono tutti i calciofili è andato in scena allo stadio San Paolo di Napoli, quando Fabio Quagliarella ha realizzato un calcio di rigore contro la squadra della sua città natale. Sommerso dai fischi e dagli improperi dei tifosi locali, ha unito le mani sopra la testa e chinato il capo, chiedendo scusa. La già discutibile moda di non esultare verso ogni squadra in cui hai militato come fosse quella che ti ha cresciuto da bimbo e ti ha accompagnato per tutta la carriera, ha ricevuto un upgrade non da poco. Si perché non esultare per un gol che contribuisce alla gloria dei colori che indossi è già abbastanza ipocrita (tranne in casi eccezionali, immaginate un gol di Totti contro la Roma, fosse anche in amichevole tra giallorossi e una squadra del Qatar in cui il Pupone è ipoteticamente andato a chiudere la carriera), ma chiedere scusa per averlo realizzato è francamente assurdo. Non solo. È irrispettoso verso la società che ti paga un lauto stipendio, verso i tifosi che comprano le magliette uguali a quella che indossi ogni domenica e verso la città che quotidianamente ti ospita. Il gesto ha raccolto pareri unanimi tra tutti gli addetti ai lavori, oltre che a far infuriare giustamente ogni tifoso granata. Dall’imparziale Bruno Pizzul, al nemico giurato l’ex juventino Ferrara, al tifoso eccellente Mauro Berruto: tutti sconcertati e critici sulle scuse di Quagliarella.

Fabio Quagliarella poi, sarà anche nato a pochi km da Napoli, ma nessuno può confutare che debba le sue fortune (oltre a madre natura che lo ha riempito di talento calcistico), a Torino e al Toro. Arrivato nella città sabauda da adolescente, ha fatto tutta la trafila nelle giovanili granata, esordendo in serie A con questi colori. Evidentemente l’essere cresciuto al Filadelfia non basta per avere rispetto di chi questi colori li ha tifati prima del suo arrivo e li sosterrà anche dopo la sua partenza verso altri lidi. Meglio mostrare deferenza a chi ti fischia appena entri in campo, ossequiandoli oltre ogni logica, mentre ti coprono di insulti.

E i tifosi del Toro? Ancora una volta calpestati, non ci stanno più. In rete impazzano le polemiche e sono in tanti a non voler più vedere un attaccante che gioca sempre titolare, non segna da 4 mesi e quando lo fa chiede scusa al settore sbagliato dello stadio. Perché forse sarebbe stato più logico chiedere venia a chi sostiene la squadra per la quale giochi, visto che negli ultimi mesi lo hai fatto molto male.

Senza retorica spiccia, nel calcio di oggi parlare di dodicesimo uomo è anacronistico. L’ultima pacifica visita alla Sisport ne è l’esempio lampante: i tifosi imbufaliti per i non tollerabili baci e abbracci con i bianconeri dopo un derby perso in maniera umiliante, si premurano di spiegarlo ai giocatori. La maglia va rispettata. Due partite dopo, il messaggio pare già dimenticato o forse non è mai stato recepito. Tanto, quelli che stanno sugli spalti sono ormai dei numeri da inserire alla voce “incassi”, mica il vero cuore pulsante di una squadra.