Rosato, un angelo veglia sulla Nazionale
Sabrina Gonzatto
Come molti sto seguendo l’Italia in TV. Ho da poco appreso che Roberto Rosato è mancato. 37 presenze in Nazionale, oggi la squadra di Lippi, in suo onore, gioca con il lutto al braccio; il gol calciato su rigore da Iaquinta simbolicamente è dedicato a lui, nato e morto a Chieri - a due passi da Torino - 67 anni da compiere il prossimo 18 agosto. Faccia d’angelo, così era soprannominato per il suo bellissimo viso, il nostro Delon nazionale, vinse molto nel Milan insieme a Gianni Rivera (suo coscritto) ma era cresciuto nel vivaio del Torino e nella squadra granata vi rimase fino a quando Nereo Rocco lo chiamò nel capoluogo meneghino. Non era raro vederlo nelle varie rievocazioni granata, un bel signore, estremamente gentile e galante nonostante la sofferenza fisica fosse evidente, così lo ricordo quando lo accolsi il 16 maggio 2008 nella Palazzina di Corso Vittorio. Molto legato alla squadra che lo fece debuttare in serie A e diventare quel gran difensore che gli annali del calcio registrano; temuto e stimato da un altrettanto bravo collega tedesco, quel Gerd Muller che tanto filo da torcere diede all’Italia durante i Mondiali messicani del ’70. Le vittorie con il Milan furono tante per il vicecampione del mondo, eppure nel suo cuore il Toro era un po’ come il primo amore. E il primo amore non si scorda mai. Per i tifosi del Toro, Roberto Rosato era uno vecchio cuore granata, come per il mio amico Giorgio con il quale ho appena finito di parlare al telefono. La rete granata è potentissima, Giorgio mi chiama per chiedermi quando si farà il funerale. “Martedì mattina presso il Duomo di Chieri” gli rispondo e mentre chiacchieriamo mi rivela che Rosato era il suo idolo. Proprio a “Faccia d’Angelo” venne paragonato quando ragazzino giocava a calcio. E per un dodicenne granata che debutta nella Juventus, il paragone con il grande calciatore non poteva che apparire come un bel segno del destino. “Appena ebbi modo di incontrarlo, gli raccontai questa storia e lui ne rimase molto colpito” mi rivela Giorgio che non continuò la sua carriera calcistica ma che segue da tifoso doc le sorti del Toro. Nelle sue parole avverto l’emozione e l’orgoglio che si intreccia al dolore che si prova quando viene a mancare una persona cara. Certamente un dolore non paragonabile a quello provato dalla sua famiglia, cui va tutto il mio affetto, ma è un dolore vero e puro. Tipico della comunità granata che si raccoglie in silenzio e prega, se credente, oppure ricorda con affettuoso orgoglio le gesta di un uomo e di un campione esemplare. Come Roberto Rosato.