.

Toro, dobbiamo farcela

di Marina Beccuti

Flavio Bacile

Inutile piangere sul latte versato, bisogna rimboccarsi le maniche e guardare avanti, questa stagione bruttissima si può ancora salvare, sembra un paradosso ma è così, il peggiore Toro che io stesso ricordi, può ancora puntare alla promozione. Allora provarci diventa un obbligo morale, aldilà del periodo che è quello che è, aldilà delle mille perplessità che avvolgono l’ambiente, insomma, aldilà di tutto e di tutti. Ho apprezzato e non poco il mea culpa di Petrachi, segno che ci si pone di fronte alla verità, non come si faceva l’altro ieri, salvando tutto e tutti. Un segno di crescita, forse anche una piccola speranza, almeno quella di non ripetere in futuro gli stessi errori, perché archiviata in un modo o nell’altro questa stagione, alle porte se ne presenta un’altra non meno difficile.

Non so se il Toro è una squadra presuntuosa, ma Petrachi essendo vicino giorno per giorno alla squadra può avere un’idea più chiara della mia, di presuntuoso ho invece trovato l’idea di smontare un giocattolo che si era costruito tra mille difficoltà, e per dirla tutta anche bene, la cosiddetta rivoluzione di gennaio, per farne un’altra a luglio. I motivi possono essere tanti, per qualcuno tenere quasi in blocco la squadra della passata stagione, migliorandola con quattro innesti di qualità avrebbe avuto un costo troppo elevato per le finanze del Toro, altri invece sposano la tesi di Petrachi, in altre parole quella di aver voluto agire su un’idea calcistica diversa. Devo dire che delle due trovo più pericolosa la seconda della prima, e chiarisco.

Una società come il Torino, ma anche come l’Arezzo o il Fanfulla non può permettersi di cambiare rosa, specialmente se poi era stata la migliore nel girone di ritorno della cadetteria, in base all’idea calcistica del nuovo allenatore, può invece integrarla con elementi “graditi” a società e nuovo tecnico, nel rispetto dei ruoli e delle competenze.Per dirla brevemente, ad ogni cambio tecnico, non può corrispondere una nuova rivoluzione. Aveva quindi ragione Bianchi, quando in tempi non sospetti aveva detto che al Torino è tutto più difficile, perché bisogna ricominciare ogni anno tutto da zero o quasi. Bianchi che poi era stato pubblicamente zittito da un Petrachi visibilmente seccato.

C’è però da dire anche un’altra cosa, possibile che ci si accorga solo oggi che la squadra è questa? Evidentemente no, questa squadra non ha mai dato l’impressione di aver svoltato dopo il pessimo inizio in campionato, i dieci risultati consecutivi, non possono certamente aver ingannato chi di calcio vive e si nutre. I difetti che ora si sono palesati con maggiore crudezza oggi giorno, alla fine sono quelli che si erano presentati ad inizio stagione, è bastato poco per rompere quel sottile equilibrio, ora tutto sembra più scuro perché non c’è neanche quella benda sugli occhi che i tre punti, o il pareggio, possono rappresentare. Siamo ad un punto di non ritorno?

Dipende da molte cose, principalmente dalla voglia di uscire fuori da questa stagione dei protagonisti, ma non basta questo, alcuni equivoci tattici devono essere corretti. Cominciamo a dire che la coppia Antenucci-Bianchi sembra veramente male assortita, i due si cercano pochissimo, entrambi cercano più la porta che non il compagno, e per certi versi sembrano avere caratteristiche simili. Fisicamente Bianchi è una prima punta, cercare di snaturarlo non avrebbe nessun senso, quanto ad Antenucci, anche lui, almeno penso, preferisce operare da prima punta, spesso calpestando le stesse zone di campo del capitano.

Il centrocampo poi risulta spesso ricco di muscoli e povero di fantasia. Trovare un’alternativa a centrocampo diventa un obbligo, va bene recuperare palloni, fare filtro, aprire il gioco, ma serve anche una “scheggia impazzita”, un giocatore cioè che abbia anche l’intuizione giusta nel momento giusto, il coraggio di rischiare, di portare palla nei momenti di stagna della partita, che possa insomma caricarsi la squadra sulle spalle senza nello stesso tempo caricarsi di responsabilità che appartengono ad altri. Lazarevic sicuramente, un altro in posizione meno defilata sarebbe un toccasana.

Quanto alla difesa, il recupero di Garofalo è sicuramente importante, bisognerà capire se Papadopulo cercherà di recuperare anche psicologicamente D’Ambrosio, che non è sicuramente il giocatore visto ed ammirato nella passata stagione, ma non per questo merita di finire alla gogna. Le alternative comunque non mancano, dalla gioventù di Cavanda, all’esperienza di Rivalta.

Quanto al bastone usato in questi giorni, l’accusa diretta ai giocatori, meno velati del solito per dire la verità, servono se non sono uno scarico di responsabilità, e per dirla tutta, visto anche lo sfogo di Petrachi, che si è preso le sue responsabilità, mi sembra che non sia così. Insomma il Toro ha tutto per rinascere, può e deve farcela. Per cominciare, togliamoci di dosso l’aurea di crocerossina che ci porta sempre a far “rinascere” squadre e tecnici in difficoltà, e far ritrovare la via del gol a centravanti a digiuno da mesi. In questo momento siamo noi in difficoltà, quindi nessun regalo a nessuno. Magari da questo momento più che buio può partire la nostra rinascita, non siamo l’araba fenice, ma il Toro.
E, scusate se è poco.
 


Altre notizie
PUBBLICITÀ