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Carlo Nesti a Radio Vaticana: “Sport congelato o rilanciato da Renzi?”

di Marina Beccuti

Il rapporto difficile fra sport e politica.

 

“Il destino politico dello sport, in Italia - dice Carlo Nesti, al Direttore della Radio Vaticana Italia Luca Collodi, nella rubrica “Non solo sport” del lunedì, alle 12,35 - è quello di essere figlio di tutti e di nessuno, in un paese ultimo in Europa, in quanto ad ore di ginnastica a scuola. Nel dopoguerra, un illuminato presidente, come Giulio Onesti, garantì l’autonomia dello sport dalla politica con il Coni, finanziato dal Totocalcio. Ma un conto è una autonomia dorata, fino a quando il Totocalcio ha prodotto miliardi di lire, e un conto è essere abbandonati a se stessi, quando la schedina ha smesso di funzionare. Le competenze sullo sport sono state affidate al Ministero per i beni e le attività culturali fino al 2006, quando il secondo governo Prodi ha creato un apposito dipartimento della Presidenza del Consiglio. Di fatto, è un Ufficio per lo sport ad occuparsi della materia, e la delega per lo sport, per un anno, è stata di competenza di Graziano Del Rio, ma nello scorso aprile è passata direttamente nelle mani di Matteo Renzi. Ora, la situazione non è facilmente decifrabile, perché i pessimisti sottolineano che la delega è sostanzialmente vacante, e questo non è un dato, che può confortare. Gli ottimisti, al contrario, ricordano che Renzi, al momento di autoassegnarsi la delega, parlò chiaramente della prospettiva di un Ministero dello sport, atteso da decenni, anche nel nostro paese. Se un tempo era meglio che lo sport fosse autosufficiente, ora sarebbe meglio che non lo fosse, perché, nel frattempo, i dirigenti non hanno sempre dimostrato di sapere gestire scandali più grandi di loro”.

 

 

Sarri: il premio della gavetta.

 

“Sono stato felicemente sorpreso dall’arrivo di Sarri, sulla panchina del Napoli, perché è frutto della sempre più sottovalutata gavetta, che significa poi nient’altro che esperienza. Mentre imperversavano le "notti magiche" dei Mondiali 1990, lui si preparava ad allenare la sua prima squadra: lo Stia. Seguiranno piccole realtà locali, Faellese, Cavriglia, Antella, Valdema, Tegoleto, Sansovino, Sangiovannese, e poi, finalmente, altre 9 squadre di maggiore spessore: in tutto 17 società. Sono contento anche come rivalsa su certe superstizioni, che dividono le persone in portafortuna e jettatori, a volte, con conseguenze devastanti. Nella "smorfia" napoletana, il numero 17 significa "'disgrazia", ma il tecnico ha già trovato il modo di sconfiggere la superstizione. Perché? Perché la diciassettesima panchina, quella dell'Empoli, alla faccia della scaramanzia, è stata proprio la sua fortuna. In sostanza: un trionfo del lavoro e dell’umiltà. E un atto di apprezzabile umiltà è stato anche partire con un modulo tattico, il 4-3-1-2, e ravvedersi a “treno in corsa”, passando al 4-3-3, senza l’ostinato integralismo del suo predecessore Benitez, schiavo del 4-2-3-1. Da quel momento in avanti, il Napoli, in 6 partite fra campionato ed Europa League, ha segnato qualcosa come 18 reti a 1, diventando una “macchina da gol”. Sarri è stato saggio anche nell’accantonare, momentaneamente, un suo “pupillo”, come Valdifiori, e ricaricare, attraverso un rapporto umano più comunicativo, Higuain”.

 

 

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