Il chimico Cavalera: "Tanta disinformazione sui tamponi"
Tra informazione scientifica, di pubblica utilità, e naturalmente calcistica, abbiamo consultato, sulla scia degli inevitabili aloni di dubbio - e a tratti sgomento - in merito al rilevamento di positività e alle procedure conseguenti, nel mondo del calcio come nella quotidianità dei comuni mortali, Simone Cavalera. Classe '90, chimico dell'Università di Torino, da tre anni nel campo della diagnostica rapida, e prossimo al conseguimento del Dottorato di Ricerca in Scienze Farmaceutiche e Biomolecolari, il Dottor Cavalera (tifosissimo granata, NdR) ha risposto, con grande disponibilità e dovizia di particolari, su alcuni aspetti legati a metodologie, tempistiche, e criteri diagnostici, del calcio ai tempi del Covid. Senza dimenticare il rapporto, talora burrascoso e non privo di controversie, tra sistema calcio, misure di sicurezza, ed esempio nei confronti dei cittadini.
Quali differenze si possono essenzialmente rilevare, in termini di metodologie e tempistiche, tra le diagnosi effettuate per i calciatori, di Serie A e delle categorie minori, e i comuni cittadini?
Per la maggioranza dei cittadini, in linea di massima, sussiste l’obbligo di tampone solo in caso di intervento dell'ASL, che si rivolge in tal senso a coloro che vengono segnalati come contatto di un positivo recente, oppure nel caso ci si presenti con sintomi in un presidio ospedaliero, o si rimetta piede su suolo italiano dai sedici Paesi ritenuti a rischio. I costi necessari per eseguire queste analisi non sono trascurabili, dati i grandi numeri. Nello scorso lockdown ci si era trovati a corto di reattivi e ora, per sopperire all’alto numero di tamponi necessari per lo screening, si è passati dai tre tamponi negativi (per confermare un’avvenuta guarigione) a due, e sembra che cambierà ancora la situazione. Sicuramente questo aspetto contrasta con l’altissimo numero di tamponi a cui vengono sottoposti i calciatori. Prima erano ogni 3-4 giorni, poi nei due giorni prima della partita, e così via. In ogni caso, l'idea che tale divario si fondi sull'irrinunciabilità del sistema calcio, è quanto meno opinabile. Questo con tutta la comprensione possibile nei confronti dei lavoratori coinvolti.
Dal lockdown della scorsa primavera, è cambiato qualcosa in termini di tamponi, test sierologici, e altri strumenti diagnostici? Quali sono le prospettive in tal senso, per il prossimo futuro?
Risposta breve: purtroppo è cambiato ancora troppo poco. Nel mondo della diagnostica esistono due categorie di test: i test di screening e gli esami di conferma. Tipicamente i primi sono preferibilmente economici, rapidi, portatili, facili da usare, e non dovrebbero necessitare di personale, come richiesto espressamente dall’OMS già da quasi 10 anni. I secondi sono generalmente analisi strumentali di laboratorio, precise, affidabili, specifiche, ma al contempo lente, e costose. Da questa situazione si evince chiaramente che il tampone nasofaringeo è più ascrivibile alla seconda categoria, e che fare lo screening utilizzando un esame di conferma, in generale, non è una procedura sostenibile. In primavera, per lo screening, ci si è serviti dell'appoggio dai test sierologici indiretti (cioè quelli che rivelano la risposta del sistema immunitario all’infezione). Erano l’ideale, perché potevano essere fatti sia in formato kit di laboratorio, ma con analisi da due ore e mezza (molto più rapidi del tampone), sia nei formati rapidi come le “saponette”, simili al test di gravidanza, con risposta sì/no in dieci minuti. Peccato che la confusione generale sull'argomento, tra media, complottismi vari, "influencer in camice", abbia generato una malsana sfiducia in questi metodi.
Purtroppo, la nascita di una nuova generazione di test sierologici indiretti, in grado di rilevare e riconoscere tutti gli anticorpi, aumentando la sensibilità e l'accuratezza, si è scontrata con la prevedibile "corsa all’oro" del caso, tale per cui sono stati immessi sul mercato decine di prodotti scadenti. In estate, l’opinione pubblica avevano già cassato i test rapidi come inaffidabili su tutta la linea. Con i test "discriminatori" di anticorpi, come IgM (indicatori di infettività) e IgG (indicatori di immunità acquisita), l’unica certezza, in ogni caso, è che la positività significa esclusivamente essere venuto a contatto con il virus, nel passato immediato o vicino. Ma nulla su infettività, e solo ipotesi sull’immunità. Utili come screening, dunque, non come effettivi rilevatori di contagio. Ora stanno comparendo i primi test salivari diretti in formato rapido, che verificano la presenza non più della risposta immunitaria ma del virus vero e proprio. Sarebbero una svolta. Purtroppo, le forze della disinformazione, anche in questo caso, stanno già generando confusione sulla cosa.
Un buon esempio è il test provato allo Spallanzani qualche settimana fa. Trattavasi di test rapido, che, a mio avviso, si poteva immaginare dai presupposti si rivelasse inadeguato… se fossero stati testati i dispositivi di Abbott e Roche la musica sarebbe stata diversa. A questa sperimentazione, però, è stata data una rilevanza immeritata: penso agli articoli in merito de "Il Sole 24 Ore", e de "La Stampa". Così si confondono solo le persone. Per forza, poi, non si fidano più della scienza. I mezzi per fare lo screening, e per limitare lo spreco dei materiali, ci sono. Dobbiamo solo prenderne coscienza. E confido nel fatto che si capisca l’antifona, prima che sia davvero troppo tardi.
In termini di ricerca dal punto di vista chimico, farmacologico, e medico in senso stretto, l’Università di Torino come si sta muovendo? Siete in contatto diretto, oltre che naturalmente con le istituzioni nazionali e locali, anche con l’impresa del territorio, incluse le società calcistiche?
Non posso parlare che per quanto concerne il mio gruppo di ricerca, che ha lavorato senza sosta lungo tutto il lockdown, presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino. Noi abbiamo partecipato allo sviluppo di un sierologico indiretto sia in formato kit “semi-rapido” (come riportato da "La Stampa", 29 Aprile 2020) sia in formato rapido “saponetta” (come riportato dalla rivista scientifica "Talanta", 5 Ottobre 2020). Il problema risiede principalmente nella disponibilità e maneggevolezza dei campioni infetti, che non sono sempre facilmente concessi alla ricerca dagli ospedali. Questo è comunque comprensibile, data la mole titanica di lavoro che ricade sugli ospedali stessi.
Vedremo in queste settimane se si potrà progredire con la ricerca in questo settore, per dare una mano a uscire dal tunnel. In ogni caso molti gruppi di ricerca stanno cercando in ogni modo di dare il loro contributo, spesso e volentieri senza la prospettiva di un profitto… perché questa è la nostra missione. Ci capita spesso di venire contattati da imprese per supporto, consulenza, o progetti veri e propri. Per ora nessuna società di Calcio ci ha contattati, né ci ha richiesto servizi per far fronte all’emergenza, ma chissà…
A suo avviso, i protocolli finora adottati da Ministero dello Sport, Lega Serie A e istituzioni calcistiche in generale, passando per i club stessi, sono adeguati? In cosa sono eventualmente manchevoli o approssimativi?
Con tutto il rispetto, i materiali sono preziosi, e fare tamponi a ripetizione ai calciatori perché non si può rinunciare al panem et circenses, da "noioso uomo di scienza", lo considero assurdo. E sono della stessa opinione anche da tifoso... naturalmente granata. Se la decisione è quella di continuare, personalmente insisterei sull’uso di metodi alternativi, per monitorare i calciatori. Ci sono già in commercio test rapidi diretti salivari, a basso costo, per lo screening. Si usino quelli, e basta sprecare tamponi, generando così cittadini di Serie A e non. A maggior ragione quando alcuni calciatori mostrano scarso rispetto per la propria posizione di privilegio, scappando prima dei risultati, o dandosi a esternazioni negazioniste, con ogni riferimento voluto e non casuale. Spendo volentieri una parola sulla questione di Juve-Napoli: indipendentemente da qualsiasi regolamento, e dalla tendenza dei club ad assecondarlo, il fatto che si sia penalizzata una scelta più cautelativa a fronte di un’occasione di rischio (quale di fatto è una partita di calcio) è un messaggio molto sbagliato.
Sarebbe sensato valutare una nuova chiusura delle attività calcistiche, settori giovanili inclusi, tenendo anche conto dell’impatto economico che ciò potrebbe suscitare?
Sì, nella maniera più assoluta. Ripeto, comprendo tutto il disagio che la cosa genererebbe. Ma il disagio è esteso a tante altre realtà, e il calcio non può essere considerata l'unica "non sacrificabile" tra queste. Se continueremo a considerare tutto imprescindibile, non usciremo mai da questa situazione. Una piccola metafora per spiegare il concetto: se penso di avere un virus nel computer, faccio innanzitutto il backup dei dati fondamentali, e non mi metto a guardare una webserie, sperando che il virus me la lasci finire prima di demolirmi il sistema operativo. Però capisco bene che molte persone quando non lavorano non guadagnano. Per loro la cosa è difficile da mandare giù, ed è comprensibile abbiano un'altra visione delle cose.
Il veicolo di contagio dato dall’attività calcistica in corso è statisticamente rilevante rispetto alla (sacrosanta) riapertura delle scuole, delle attività commerciali, degli esercizi di ristorazione e bar, dell’utilizzo dei mezzi pubblici?
Ragionando sui numeri attuali, decisamente no. Ma se gli stadi riaprissero, la questione potrebbe cambiare, in misura significativa. Tutto considerato, per ora l’impatto peggiore consiste nello spreco di materiali. L’altro aspetto è che tutto dipende dal comportamento della persona fuori dallo stadio. Qualcuno fa attenzione, qualcuno fa come Ronaldo...
Domanda rivolta innanzitutto al tifoso granata, prima che allo scienziato: quanto le manca lo stadio? È possibile azzardare una previsione in merito a quando gli appassionati potranno rivivere il clima della partita dagli spalti?
Purtroppo una previsione non sono in grado di farla: impossibile, al momento, capire quando finirà questo incubo, anche solo in termini vaghi. In un mondo ideale mi augurerei di tornarvi presto, perché vorrebbe dire che si è usciti dalla pandemia. Parlando del mondo reale, mi auguro il più tardi possibile, perché sono purtroppo convinto che gli impianti riapriranno prematuramente. Vado allo stadio da quando avevo quattro anni, e per me è sempre stata una cosa irrinunciabile. Purtroppo, ultimamente sono un po’ deluso dal sistema Toro, su tutta la linea: dalla presidenza, ai risultati, passando per il tifo. Quest’ultimo aspetto, seguendo gli sviluppi da casa, è ancora più evidente, leggendo i commenti alle notizie, e le esternazioni online. Una volta i tifosi di questa squadra erano nettamente diversi dagli altri, e allo stadio lo dimostravano. Ora purtroppo mi sembra di vedere sempre più spesso casi di violenza verbale, pressapochismo, e cattivo gusto, anche tra i nostri granata. E questo è molto triste. Chissà che questo periodo non renda migliori anche tutti noi tifosi, e che si torni allo stadio sì segnati, ma arricchiti da questa dura esperienza comune. In quel caso, sì, vorrei davvero tornare presto allo stadio.