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Petrachi: "Ho cambiato Cairo, a Roma mi hanno scavato la fossa"

di Emanuele Pastorella

L'ex direttore sportivo del Toro, Gianluca Petrachi, è tornato a parlare dopo il licenziamento dalla Roma. "Sono rimasto mortificato dal mio licenziamento, perché ero venuto con tantissimo entusiasmo. Ho creduto tanto nel progetto e in ciò che mi era stato detto. Vorrei ricordare che per venire qui ho avuto una diatriba con il mio ex presidente, Cairo è una persona di potere. Al di là delle pluslavenze, il Torino ha raggiunto livelli che da anni non raggiungeva. E' arrivato in Europa League. L'idea era venire a Roma e avere persone affianco che mi dessero la forza per cambiare le cose - riporta il sito del Corriere dello Sport - Per sei mesi mi hanno anche sostenuto e le cose sono state fatte. L'ho scritto anche nella lettera. Fino a dicembre-gennaio ho fatto tante cose con l'aiuto della società, qualcuno può anche documentare di quanta disciplina e rigore ci fosse a Trigoria e quanta gente non entrasse più, quanta mentalità e professionalità ho cercato di portare e quante multe ho fatto. Ho cercato di porre fine a tante situazioni che accadevano, tanta gente che era lì e non faceva nulla sostanzialmente...Ho cercato di far capire che per essere vincenti bisogna partire dalle fondamenta. Nella struttura Roma questa unione e compattezza non c'è mai stata. Molte persone si parlavano male dietro, questa era la situazione generale. Ho cercato di unire e integrare. Quando ho iniziato a sentirmi solo? A un certo punto ho chiesto alla mia persona di riferimento se il presidente fosse contento di ciò che si stava facendo. Non parlo bene l'inglese e non ho mai avuto un confronto diretto con il presidente se non in 2-3 occasioni. Gli veniva tutto raccontato, ma non so cosa. Sotto Natale inviai un messaggio a Pallotta, eravamo in piena lotta Champions, e non mi ha mai risposto. Ci sono rimasto male e mi sono chiesto se fosse successo qualcosa. In quel momento ho capito che mi stavano scavando la fossa, cercavano di distruggermi in maniera subdola. Ho sperato che il presidente mi chiamasse. Sono andato avanti per la mia strada, ho cercato di fare i cambiamenti e determinate cose non me le hanno fatte fare. Credo di aver fatto le cose in linea con quanto chiesto dalla società. Mi reputo un aziendalista. Mi hanno detto di mandar via i vecchi e prendere giocatori giovani per rendere la squadra più forte, stando attento al bilancio. L'idea era rendere la Roma più forte e solida, non si fa dall'oggi al domani. La struttura era salita su bene, erano stati confermati dei ragazzi bravi e presi giovani importanti. La mia struttura era riuscita a sistemare 15 giocatori, alcuni non avevano chissà quale mercato. Le basi erano state messe. Tanti giocatori rifiutano anche il trasferimento, come tre giocatori della Roma. Kalinic l'ho preso in prestito secco e hanno anche pagato l'ingaggio. Ha pagato i problemi fisici e nel finale di stagione se avesse giocato di più, avrebbe dato di più. I problemi veri sono quando ti lasciano giocatori da 30 milioni con ingaggi alti e non sai dove piazzarli. A Roma c'è un sistema malato e tutti pensano di avere le notizie. Dovevo mettere un freno a questa emorragia. Come successo in altri posti, non ho mai avuto rapporti confidenziali con un giornalista né mai preso un caffè. Sono sempre stato tranquillo e pacato nelle conferenze, forse avrò detto qualche parolaccia. Era più facile abbattere Petrachi perché l'intero sistema aveva piacere che non ci fosse più Petrachi. La società avrebbe dovuto difendermi e lì si sono divertiti tutti. Tutti i giornalisti che mi hanno detto 'alla prima situazione ti distruggo ecc'. Sono andato avanti per la mia strada".


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