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Beppe Bonetto: i 90 anni del signor scudetto, l’ultimo vinto dal Torino

di Elena Rossin
Fonte: Tuttosport
Beppe Bonetto

Un ritratto del grande stratega del Torino di Pianelli, Beppe Bonetto: domani sarebbe il suo 90esimo compleanno. Una via di mezzo tra un odierno amministratore delegato e un direttore generale, ma all’epoca la qualifica del dottor Beppe Bonetto era quella di segretario generale. Nel Torino svolgeva tre ruoli: ad, dg, ma anche direttore sportivo. Successivamente, dopo aver lasciato, come Pianelli, il Torino nel 1982, visse una breve esperienza nel Napoli, prima di diventare uno dei più noti e apprezzati procuratori italiani.

Il figlio Marcello, per anni anche lui agente di calciatori ma ora non più, parlando del padre: “Valorizzò i dirigenti già nel club, costruì un super vivaio. Vendeva solo i giocatori meno bravi: e così acquistò i campioni. Non come oggi...” come si legge nel libro pubblicato nel 2023  e intitolato “Cose di calcio, cose da Toro” edito da in- Contropiede. Marcello, nel libro che ha scritto, racconta storie affascinanti  e alcune fin incredibili e aneddoti sull’attività di suo padre, mancato nel 2017, e sua.

Una figura quella di Beppe fondamentale per le fortune del Torino, culminate con la vittoria di due Coppa Italia nel 1968 e nel 1971 e poi con lo scudetto, l’ultimo, nel 1976, come dice Marcello nell’intervista rilasciata a Tuttosport: “Pianelli aveva versato 100 milioni per acquistare il Torino e ripianare i debiti. Aveva fin da subito grandi ambizioni, da vero presidente innamorato. Un amore condiviso con mio padre per due decenni. Pianelli, però, non era pratico di calcio, non era esperto di quel mondo. Per cui scelse presto un dirigente affidabile cui delegare il cuore dell’attività sportiva e amministrativa”.

“Con Pianelli e grazie a Pianelli – racconta ancora i figlio -, mio padre poté portare avanti fino allo scudetto un chiarissimo progetto: vincente, meraviglioso e assolutamente imparagonabile rispetto ai destini granata successivi. Ovvero la crescita costante della squadra e delle ambizioni. Pianelli delegò mio padre quasi su tutto, si fidava ciecamente e vedeva arrivare risultati sempre più belli. Per prima cosa papà valorizzò il più possibile tutte quelle figure dirigenziali e tecniche che erano già in società: Ellena, Cattaneo e Cozzolino su tutti, cardini della tradizione, professionisti innamorati del Toro e abilissimi”. E ancora: “Papà portò avanti questa linea di condotta: potenziare sempre più il settore giovanile (poi diventato per tanti anni il più vincente a livello addirittura europeo, ricorda il giornalista di Tuttosport Marco Bonetto, che non è parente), così da sfornare per la prima squadra almeno un giovane di talento ogni due anni al massimo. Gli altri giocatori, non proprio con la statura dei campioni in erba, venivano invece venduti come vere plusvalenze. E così papà riusciva ad autofinanziare la crescita del Toro. Con il ricavato andava man mano ad acquistare top players possibilmente giovani, capaci di far vincere il Toro e di garantire un ri-cambio generazionale. Tanto per capirci: Meroni nel ‘64, Claudio Sala nel ‘69, Castellini nel ‘70, Graziani e Salvadori nel ‘73, Pecci, Caporale e Pat Sala nel ’75 ...  anno in cui ingaggiò Radice come allenatore con una manovra da agente segreto ... e poi anche Danova nel ‘76. Intanto gli Zaccarelli e i Pulici li aveva già presi sul finire degli Anni 60 per rinforzare il vivaio in vista di un loro lancio in prima squadra”.

Mai nessun giovane gioiello venduto come invece accade nel Torino di oggi: “Non ha mai venduto nessun giocatore giovane e di grande talento come oggi potrebbero essere i Bremer, i Buongiorno, i Bellanova ...  Solo nella seconda metà degli Anni 70, quando Pianelli entrò in una crisi imprenditoriale sempre più grave, papà fu obbligato a vendere alcune colonne dello scudetto, però cercando ugualmente di sostituirli con nuovi giovani di talento ... Nell’82 Pianelli, senza più risorse finanziarie, lasciò il Torino il giorno dopo una finale di Coppa Italia: la squadra era ancora formata da giocatori “veri”, e di vero spirito granata, anche se non poteva più avere le potenzialità economiche per ambire allo scudetto. E papà lavorò con dedizione e passione fino alla fine, anche se negli ultimi 9 mesi Pianelli non aveva più potuto pagargli lo stipendio, data la crisi in cui versava sua azienda”.