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Cronistoria del decadimento più becero, dal Grande Torino a Genny ‘a Carogna

di Marina Beccuti
Fonte: Francesco Cedraro per ilveromilanista/ www.ilcalciomagazine.it

No, non è stato un fine settimana qualunque ma un fine settimana italiano, con le sue contraddizioni, i suoi eccessi e, perché no, i suoi ricordi. Frammenti di una grandezza sfocata in un lento quanto inesorabile decadimento, un pozzo senza fondo a cui è difficile dare spiegazioni, ma ugualmente proverò a farvene un resoconto. Un Paese che va a braccetto con i suoi problemi, senza capo né coda, senza tribuna né tanto meno curva.

Come sono lontani i tempi del dopoguerra, quando tutto era più genuino, quando ancora il nostro popolo sapeva riconoscere il sacrificio, ma sopratutto la magia delle cose belle. Era un’Italia distrutta materialmente, appena uscita dalla dittatura fascista come dal secondo massacro mondiale, una popolazione allo strenuo delle forza, ma ancora capace di sognare come poche. Eroi nella vita di tutti i giorni, quando la fame si scontrava con la ricerca del lavoro, almeno fino alle 15 della domenica pomeriggio, un dopo messa prosaico tra cielo e granata, perché quella non era una squadra, ma un manipolo di uomini destinati alla leggenda.

Da Bacigalupo a Menti, da Mazzola a Rigamonti, passando per Loik, un gruppo invincibile in campo come nel ricordo. Una squadra di angeli che il destino ha voluto portare con sé, perché gli eroi ci lasciano nel culmine del loro splendore, restando dentro di noi, nella rievocazione della loro immutabile perfezione. Una collina maledetta spezzò il sogno italico, distruggendo forse la squadra più forte di tutti i tempi, capace di vincere cinque scudetti consecutivi e una Coppa Italia; la Coppa dei Campioni quella no, perché essa non esisteva ancora.

Montanelli il giorno dopo i funerali scrisse: “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede“, una sorta di magia tramandata di generazione in generazione, una rivalutazione perenne del bello così come del magico, perché la vita non avrebbe senso di essere vissuta se i sogni più spettacolari andassero in frantumi.

Frantumi già, come quel maledetto aereo schiantatosi sulla collina di Superga, un rottame in grado di inghiottire il loro involucro materiale, al contrario della loro anima, limpida e pura, cui fa da contraltare l’odierna vergogna. Una vergogna vera che genera sgomento quanto paura.

Un passaggio di consegne diabolico, a dimostrazione di come questo Paese sia caduto nel limbo più tetro, dall’economia alla politica, finendo con il calcio. Un Paese incapace di programmare, ma sopratutto di risolvere, abile solo a rimandare, figurarsi a scaricare. Nessuno a prendersi le responsabilità di questo scempio, tutti ostaggi della stessa bandiera, quella del fanatismo e della violenza, in un calcio dove il puro gesto sportivo recita la parte del mero contorno.

No, non può essere una nuova caccia al colpevole, perché Genny ‘a Carogna, così come Speziale, sono solo la punta dell’iceberg di un problema ben più grande, quello generato dal ghiaccio più vero, quello amplificatosi sotto il lasciapassare delle istituzioni, quello che riguarda tutti ma allo stesso tempo nessuno.

I problemi da noi molto spesso non si risolvono, si lasciano marinare nel loro brodo, diventando sempre più grandi, fino a che non si scoprono insostenibili. L’Olimpico è stata solo l’ennesima recita becera, ci auguriamo sia l’ultima. Renzi e Napolitano prendano esempio dalla compianta Thatcher, una lady di ferro, che certo non amava il calcio ma fu in grado di ripulirlo.

Non si tratta di essere faziosi, né tanto meno disfattisti, si tratta di remare ognuno dalla parte giusta, riconsegnando il nostro calcio all’aspetto più ludico e, perché no, a quello più magico. Gli eroi no, non se ne vanno, restano immortali per ricordarci come tutto sia possibile. Presidente Renzi, prenda spunto dal Grande Torino.


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