Grande Torino, il Museo del Genoa ricorda gli Invincibili
In occasione del 66° anniversario dell'incidente aereo che costò la vita alla mitica squadra del Grande Torino riproponiamo questo articolo del professore Stefano Massa.
Alle ore 17,05 di mercoledì 4 maggio 1949 l’aereo che riportava il Grande Torino, sconfitto 3-4 il giorno precedente in un’amichevole a Lisbona dal Benfica, si schiantò a pochi chilometri dall’atterraggio contro il muraglione della Basilica di Superga. Nei giorni del dolore, il presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, avv. Ottorino Barassi, su proposta di Internazionale, Milan, Padova, Palermo e Venezia assegnò il titolo di campione d’Italia alla formazione granata, in vantaggio di quattro lunghezze sulla compagine neroazzurra milanese con ancora otto punti in palio. La domenica successiva, in un clima di comprensibile mestizia (i calciatori del Grande Torino erano, in pratica, la Nazionale Italiana, la cui rosa era completata da pochi giocatori delle altre squadre), si disputò la XXXV giornata di Campionato, fatta eccezione per Torino-Fiorentina, che venne rinviata (i viola sarebbero stati sconfitti 0-2 nel recupero di domenica 12 giugno).
Il caso volle che domenica 15 maggio fosse la squadra all’epoca più titolata d’Italia, il Genoa, ad inaugurare allo Stadio “Filadelfia” il poker delle partite del Torino (tutte vinte dai granata, che si sarebbero imposti nelle due domeniche successive per 3-0 in casa sul Palermo in un incontro – della durata di un’ora soltanto – disputato prima di Italia-Austria 3-1 e in trasferta per 3-2 sulla Sampdoria) giocate da formazioni giovanili con qualche rinforzo. Nell’occasione, dei ventidue calciatori scesi in campo solamente quattro (tra i granata l’ala destra Luigi Giuliano, con quattro presenze e tre reti, e tra i rossoblù il mediano destro Franco Bironi, con una, il centromediano Giovanni Battista «Giobatta» Odone, e l’ala destra Gino Corradini, entrambi con sette e una rete) avevano già disputato incontri di Serie A. A ribadire il carattere non agonistico della partita a difendere la porta dei campioni d’Italia c’era Guido Vandone (abbracciato prima dell’inizio dell’incontro dall’allenatore della formazione riserve del Genoa, di cui era stato – come del Torino – estremo difensore, Manlio Bacigalupo III, fratello del portiere morto undici giorni prima, Valerio) anziché Renato Gandolfi, che era miracolosamente scampato alla Tragedia di Superga per le pressioni fatte sulla società granata dal terzino destro Aldo Ballarin I per portare in Portogallo suo fratello minore Dino, che era il terzo portiere. All’uomo che negli anni della guerra aveva fatto in modo di creare l’equazione Torino = Nazionale Italiana (alla cui guida era stato ininterrottamente per diciannove anni fino a nove mesi prima), il rag. comm. Vittorio Pozzo, spettò l’onore e l’onere di celebrare i caduti con un toccante discorso, interrotto due volte dai singhiozzi, in cui l’ex Commissario Unico degli Azzurri (che del Torino era stato quarantatré anni prima uno dei fondatori), solo sul terreno di gioco, ricordò ai ventimila presenti ciò che tante volte avevano visto e non avrebbero più potuto vedere uscire dall’imboccatura degli spogliatoi (“la testa capricciosa, eppur volitiva, di Mazzola, il viso dolce di Maroso e quello serio di Grezar e il fanciullesco sorriso di Bacigalupo”).
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