I Grandi che hanno fatto grande il Toro: Pulici
Fonte: 100annidicuoregranata.it
PULICI Paolo (Roncello MI 27 aprile 1950)
Presenze in granata: 433 – Reti in granata: 170 – Presenze in Nazionale: 19 – Reti: 5
«La tua ora è arrivata, Paolo. È tempo di prendere il volo». Un augurio di poche parole, ma quanta emozione. Il mittente, infatti, non è “uno qualunque”, ma niente meno che il mitico Gigi Riva. È il 23 marzo 1969 e il Torino di Fabbri incontra il Cagliari.
Un marchio di fuoco, questo esordio, che non si cancellerà più dal ricordo di Pulici. Affinità quasi magiche, per questi due cannonieri: lombardi, taciturni, nati al calcio nelle file del Legnano, bomber d’istinto, arieti prepotenti. Ma il vero guru, il mentore di Pulici è stato Oberdan Ussello, il grande maestro di calcio.
Quando parlava del suo pupillo, quasi si commuoveva: «Scartato sbrigativamente dall’Herrera dell’Inter, secondo il quale Pulici avrebbe dovuto cambiar mestiere e dedicarsi all’atletica leggera, ma anche respinto dalla Fiorentina, Paolo aveva partecipato ad un provino tenuto a Coverciano e qui aveva ben impressionato il mio caro amico “Cinto” Ellena, che si era affrettato a segnalarmelo.
Certo, all’epoca, Pupi non mostrava grandi qualità tecniche, sulla palla era approssimativo; ma era fisicamente forte, inesauribile, coraggioso. Aveva ottimi numeri. Decidemmo di prenderlo. Il presidente Pianelli si affidò totalmente al nostro parere e così il ragazzo che sarebbe diventato il più prolifico goleador della storia del Torino, vestì la casacca granata».
Nelle giovanili Pulici fa sfracelli. Segna reti a grappoli: destro, sinistro, testa, tacco, rovesciata, dribbling: potenzialmente non gli manca nulla, deve solo essere disciplinato. Ma per questo sembra che non ci sia tempo, la smania di utilizzarlo in prima squadra è forte. E il caso sembra dare il proprio consenso. Pulici infatti segna il suo primo gol in serie A già alla seconda esibizione e proprio contro quell’Inter che non lo aveva voluto. Il Toro esce da San Siro con un brillante 2-2. Al 7’ del primo tempo è proprio lui a pareggiare la rete di Facchetti.
Il dopo, invece, si fa duro, quasi drammatico. Nelle tre stagioni che seguono Pulici è un galeone possente, che veleggia nelle aree avversarie con cannoni dalle polveri bagnate: soltanto 8 reti, pochino per un fromboliere. Gli sembrava che il pallone fosse stregato, che le traiettorie seguissero all’improvviso una linea diversa dal quella voluta dal suo piede, andando a parare ben lontane dalla porta nemica. Insomma, una sorta di maledizione.
Ma era proprio così, oppure c’era sotto dell’altro? Per intuire l’inghippo ci volle l’occhio di un nuovo trainer, Gustavo Giagnoni. Decise che quel giovane attaccante avrebbe dovuto “ripassare” i fondamentali e così lo riconsegnò da dove era arrivato, al tecnico delle giovanili, Ussello che, ancora, ricordava: «La storia del ripasso fu, in realtà, il pretesto per rivedere alcune cose: non solo la tecnica di base, ma soprattutto far acquisire a Pupi la consapevolezza dei propri mezzi. In altre parole, fargli intendere che era bravo, che aveva tutto per diventare un giocatore completo, un cannoniere di razza».
La terapia funziona. Dal campionato 1972-73 Pulici è un altro. Il bagno di umiltà, la presa di coscienza di sé, lo ha rigenerato. Vince il suo primo titolo di capocannoniere della serie A con 17 reti. Un trofeo prestigioso che si aggiudicherà altre due volte: nel 1974-75 con 18 reti e l’anno successivo con 21. Era dal 1946-47 che un giocatore granata non coglieva questa affermazione, dall’exploit di 29 reti a firma di Valentino Mazzola. Pulici diventa l’idolo della tifoseria, diventa “Pupi-gol” e “Puliciclone” per quel suo modo piratesco di assaltare l’area avversaria e di cogliere gol che strappano applausi e stupore.
Nasce anche la premiata dita dei “gemelli del gol”: lui e il ciociaro Francesco Graziani, destinato addirittura all’alloro mondiale. Con loro, sotto la guida di Gigi Radice, il Torino vince lo scudetto. È apoteosi per Pulici, che intanto si fa carico di incarnare nella sua figura tutto ciò che significa “essere del Toro”, appartenere al Toro, vivere da Toro. I tifosi lo amano di un amore incondizionato, gli perdonano tutto, anche gli sbagli più clamorosi. E lui, dopo un gol, sovente dichiara: «Sì, una bella rete, ma questo gol non l’ho fatto io, ma la curva Maratona, la bussola che mi indica la rotta verso la rete avversaria».
Come non voler bene a un campione così spontaneo. Forse troppo, tanto da essere penalizzato nell’ambito della Nazionale e persino del suo Toro che, appena Pianelli lascia la presidenza, si libera di lui con gran fretta. Lo aspettano la maglia dell’Udinese e poi della Fiorentina, ma in queste stagioni è la malinconia che prevale, non più il furore agonistico di quando vestiva il granata. “Ciao, Pupi, resterai sempre nei nostri cuori” echeggiano gli striscioni della tifoseria. Un grande.