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IO TIFO TORO - Davide Barra (Punt Masin Granata): "Mazzarri, ci vuole coraggio"

di Federico Danesi

Quasi trent'anni di storia (succederà nel 2020) e la stessa passione di sempre. Perché il Punt Masin Granata è unico, in tutti i sensi. Intanto perché, primo nella storia, non porta il nome di un giocatore, un dirigente o di una città. Ma è la borgata di una frazione, quella del Ponte Masino a Nole Canavese. Un fortino, in realtà. Come la piola che per tutti è una seconda casa e che ha visto nascere il club, che oggi lo vive tutti i giorni. Dal '90 ad oggi il presidente è sempre stato Davide Barra, uno dei tanti che mangia pane e Toro.

Davide, che cosa manca a questo Toro per diventare grande?

“La continuità, ma in fondo è un problema storico della nostra squadra oltre che della società. Qualcuno dà la colpa all'allenatore, non io. Perché in campo mica ci va Mazzarri, sono i giocatori incapaci di tenere la tensione fisica e nervosa a lungo”.

Già, Mazzarri. Del suo rinnovo si parla da tempo ma non è ancora arrivato. Dovessi decidere tu?

“Non pratica un calcio entusiasmante, ma i risultati li porta a casa. Sinceramente in giro non vedo molto di meglio, anche perché altrimenti dovresti puntare su un allenatore top che costa troppo. E poi se abbiamo sopportato cinque anni di Ventura, non vedo perché dovremmo fare le barricate sul nome di Mazzarri”.

Però c'è un però, pare di capire dalle tue parole...

“Gli imputo mancanza di coraggio. Con l'Atalanta ha fatto una partita gagliarda, a viso aperto e giocata all'attacco, e il risultato finale l'ha anche premiato. Poi però alla partita successiva, in casa con il Lecce, due sole punte una delle quali era Berenguer. C'è qualcosa che non mi torna, il Toro comunque vada deve entrare in campo convinto di fare risultato e quello invece è stato un segnale in senso opposto”.

Massimo Bava invece è nuovo, Di lui che ne pensi?

“Con il Settore Giovanile ha fatto bene, ci sono pochi dubbi. Ma in Serie A sono iene, ci vuole gente scafata. Io avrei visto bene uno come Pierpaolo Marino che conosce bene tutto l'ambiente. Lui mi pare ancora troppo timido”.

Chiudiamo con il presidente. Tu l'hai conosciuto in tempi non sospetti, Ce lo racconti?

“Ero tra i sedici 'lodisti', non è mica un mistero. Fin dal primo momento quando la cessione della società si stava concretizzando ce l'ha detto chiaro: 'Il Toro si deve autofinanziare'. E così è stato fino ad oggi. Ma al di là dei bilanci sani vorremmo qualcosa in più, non puntare sempre al sesto-settimo posto come massimo”.

Parliamo di voi. Quanto è difficile vivere di Torino nel Basso Canavese?

“Per noi semplicissimo, ci muove la fede. Il club è nato nel '90, quando eravamo in B, e ha resistito fino ad oggi con prospettiva ancora di una vita lunga. Organizziamo sempre il bus per portare i tifosi allo stadio, soci o meno. Siamo arrivati a 2500 tesserati, ogni anno almeno 400/500 rinnovano. E quando il Toro è fuori o proprio non gioca, siamo tutti da Emiliano alla piola, la sentiamo come casa”.

Poi ci sono le vostre cene sociali, quasi mitologiche...

“L'ultima, la scorsa Primavera, eravamo più di 500 e in mezzo a noi anche Rincon, Millico e Ferigra. L'abbiamo organizzata con i Tori Seduti, era la sera di Juventus-Ajax e così abbiamo goduto il doppio. Verso fine anno cominceremo a pensare alla prossima, vi faremo sapere”.