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Profondo rosso, sprofondo granata

di Marina Beccuti

Flavio Bacile

 

Al peggio non c’è mai fine, una massima che sembra essere scritta proprio per il Toro e per i suoi tifosi, anche perché la fine di questo lungo tunnel proprio non si riesce a vedere. Una domanda nasce spontanea, cosa ci dobbiamo aspettare per le giornate ancora a venire? Leggo di una squadra scossa, timorosa, impaurita, e mi chiedo se nelle partite precedenti a quella con il Cittadella abbiamo visto un Toro diverso, cioè, arrembante, temerario, impavido, sfacciato? Una squadra che ha fatto e insegnato calcio ovunque si sia recata, una squadra uscita tra gli applausi del proprio pubblico e di quello avversario, una squadra che ha fatto tremare il mondo.


Chiaramente no, una vittoria, cinque sconfitte, quattro pareggi nelle ultime 10 partite, è bene rilevarlo. Detto per inciso che rifiuto qualsiasi forma di violenza, verbale, fisica o psicologica che sia, mi preme chiamarmi fuori da questo gioco assurdo al massacro di tutto quello che è tinto di granata, in primo luogo la tifoseria, che è, è resterà sempre l’unico valore aggiunto del Toro. Isolare i violenti, non è esclusiva del Toro, ma d’ogni forma di convivenza civile, e il calcio italiano non può sentirsi una verginella senza macchia. La vittoria ha sempre molti padri, la sconfitta rimane sempre orfana, spesso è vero, non in questo caso almeno, non per il Toro, la sconfitta ha origini profonde, visibili a tutti.


Ha sbagliato Cairo e non poco, è il principale indiziato, ha sbagliato Foschi, cosi come Colantuono e Beretta, hanno sbagliato prima di tutto i giocatori, sono loro a scendere in campo, sono loro che indossano il granata in tutti i campi d’Italia, sono loro i primi artefici d’ogni sconfitta. Ha sbagliato anche la tifoseria, forse troppo impaziente, ma ha meno colpe di tutti, fischiare, contestare, finanche inveire contro i propri beniamini, seppure nelle forme consentite dalla legge e del buon vivere, resta un diritto in paese democratico. Si applaude quando si è contenti, e si fischia quando si è scontenti. È stato sempre cosi, un malvezzo del calcio italiano ma non solo. Quando tornerà il Toro, torneranno anche gli applausi, e l’affetto della gente.


Il Toro, ormai disperso, dal quale si attende con ansia il primo nuovo alito di vita. Il Toro che in campo, da circa tre mesi, è sempre lo stesso Toro, senza forma e senza sostanza, una brutta fotocopia di se stesso, in balia perenne dell’avversario di turno, che è sempre più veloce, sempre più concentrato, sempre più affamato dei granata. Il solito nulla, condito da altro nulla. Parlare di sfortuna o di episodi sfortunati equivale a parlare di aria fritta, parlare di meriti e demeriti mi pare più appropriato, e il Toro, ancora una volta ha meritato di perdere. Non era colpa di Colantuono, non è colpa di Beretta, non sarà colpa nuovamente di Colantuono.
I due tecnici sono ottimi professionisti, sia l’uno sia l’altro, con il secondo che ha avuto la sfortuna di prendere la squadra in un momentaccio, sono degni per curriculum e per umanità di sedere sulla panchina dei granata. Ora sulla graticola c’è finito Beretta, esonerato perché colpevole di non si capisce bene cosa, forse di aver fatto pressioni per il mercato, forse di non aver saputo resuscitare una squadra che sembrava già sulle ginocchia, forse di aver parlato troppo chiaramente, diretto e senza fronzoli.


Alla fine dire che la squadra è stata assortita male sembra una banalità, ma rimane l’unica verità percorribile, altrimenti non ci sarebbe una ragione logica capace di chiarire la situazione attuale. Evidentemente, e non è la prima volta nell’era Cairo, abbiamo sopravalutato, e non poco, il nostro organico, pensando di poter fare un solo boccone degli avversari, forti questa volta sì del nostro nome, della nostra storia, del nostro blasone. Non ho neanche voglia di parlare di mercato.


Profondo rosso, sprofondo granata.
Profondo rosso, inteso come segnale d’allarme chiarissimo.
Sprofondo granata, come il mio stato d’animo.

 


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