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Bufera Toro, ora Cola rischia

di Marina Beccuti
Fonte: Federico Freni per www.carlonesti.it

"Non posso essere contento della prestazione della squadra, c’è molto da lavorare”. Queste le parole del presidente Cairo all’uscita dallo stadio Garilli di Piacenza.

Sguardo torvo, scuro, arrabbiato.
Si ripetono inesorabilmente le stesse immagini di ogni anno. Cairo affranto, deluso, attonito di fronte alla consapevolezza che anche in questa stagione qualcosa sembra andare per il verso sbagliato.

Sono quattro anni che va così, sono quattro campionati che si ripetono le stesse scene, i medesimi umori, le solite inevitabili difficoltà.

C’è lo sconforto di Cairo, da una parte, e ci sono le parole cariche di significati del capitano Di Michele dall’altra, il quale, piuttosto onestamente, si prende la responsabilità di aver giocato male ma accusa i suoi compagni di eccessivo individualismo e, seppur indirettamente, ne ha anche per l’allenatore: “Ognuno prova la soluzione personale per uscire dai problemi. Dobbiamo tornare a giocare senza egoismi" – ha dichiarato il bomber di Guidonia che poi ha rimarcato un pensiero molto simile a quello di Quagliarella la scorsa settimana in Catania-Napoli: "Dopo pochi minuti il mio avversario diretto è stato ammonito ma la palla, poi, non mi è mai più arrivata…”.

Infine c’è l’episodio di rottura ulteriore con i tifosi. La Maratona itinerante, davvero encomiabile per tutti i novanta minuti, chiama i giocatori sotto la curva a fine match, magari (e scriviamo magari) anche con l’intento di fischiarli sonoramente una volta avvicinati.

La risposta della squadra è stata quella di prendere l’ingresso del tunnel degli spogliatoi senza che nemmeno un singolo uomo, nemmeno il capitano abbia avuto il coraggio di presentarsi davanti al popolo granata o, perlomeno, abbia tentato di convincere i suoi compagni a fare marcia indietro e soddisfare la richiesta dei supporter.

Non un giocatore, dicevamo, non il capitano, purtroppo, ma neanche un dirigente, un accompagnatore, qualcuno insomma.

Squadra spaccata dal suo pubblico, presidente deluso, e un capitano che rimprovera i suoi compagni di egoismo e lamenta pochi palloni giocabili. Il tutto a margine di una prestazione sconfortante e penosa.

Perché contro la penultima della classe i granata non hanno mai tirato in porta, agguantando un pareggio a reti inviolate pur meritando la sconfitta.

Inoltre il Toro nelle ultime nove partite ha vinto in sole due occasioni (ad Ascoli, grazie alla papera del portiere e contro una Reggina in piena crisi e pronta ad esonerare Novellino), ha pareggiato quattro gare e ne ha perse tre. Morale della storia: 10 punti nelle ultime 9 partite.

Una media da retrocessione.

La classifica, almeno quella, pare ancora piuttosto corta. Ma l’involuzione torinese (12 punti nelle prime 5 partite e, ripetiamo, 10 nelle successive ed ultime 9) lascia presagi sconfortanti.

Cosa è successo a questa squadra da più di due mesi?

Che fossero soltanto un fuoco di paglia quelle vittorie eclatanti nelle primissime giornate? E perché il Toro continua a non avere una propria identità di gioco?

Inoltre: è possibile che Foschi abbia imbroccato totalmente il mercato estivo? Possibile che Loviso, Belingheri, Leon, Zoboli e Vantaggiato non riescano (ognuno per differenti motivi) a giustificare ancora il loro acquisto?

E poi: è un caso che Di Michele (certamente non un fenomeno ma sicuramente buono per la categoria) incida sempre meno nelle azioni offensive ? E’ possibile che se non ci pensa il povero Bianchi, questa squadra non sia capace a trovare la via del gol?

A tutto questo e a molto altro è destinato a lavorare, studiare ed argomentare Stefano Colantuono, che a Cesena, lunedì prossimo, contro la seconda in classifica, si giocherà moltissimo. Forse anche la panchina. Perché la pazienza di molti componenti il Torino tutto, va velocemente esaurendosi e strani scricchiolii già visti e sentiti nelle stagioni passate si stanno acuendo. Auguri.