CAIRO: "Come nemico molto meglio Tatò che Ibra"
Fonte: Stampa.it
di GIANCARLO DOTTO
So di non avere scampo. L'uomo che sto per incontrare mi sfuggirà come una biscia, m'incarterà e forse m'incanterà con la sua parlantina moschicida. Lo ha già fatto in passato con ossi ben più duri, i professori della Bocconi, la segretaria di Berlusconi, Berlusconi stesso, mostri sacri come Edilio Rusconi e Giorgio Mondadori, pellacce scaltre come Sandro Mayer e Silvana Giacobini, per non parlare del suo capolavoro, la curva Maratona, quanto di meno abbindolabile al mondo. Cairo Communication in persona si presenta in puntuale ritardo al Sant'Ambroeus, l'istituzione della brioche più cappuccino a San Babila, la sua dépendance milanese. Controllo subito se gli occhi fanno ancora «le bollicine», così diceva dell'allora venticinquenne Urbano il suo datore di lavoro Silvio Berlusconi. Niente bollicine. Si vede che l'uomo è sazio o che l'ora è presta. Parla, prende appunti quando qualcosa lo suggestiona, gli capita di mentire almeno un paio di volte, menzogne innocenti, divertitevi voi a trovarle. Tre anni da quando, a furor di popolo, fece le scarpe a Giovannone, il ciociaro spuntato dal nulla che voleva portarsi a casa il Torino. L'Inter del suo amico Moratti alle porte, uno sponsor nuovo di zecca e due braccialetti da spiaggia al polso, uno granata, l'altro arancione. «Me li hanno regalati i miei due figli più piccoli. Li terrò fino a quando continueranno a portarmi fortuna».
Oggi si gioca Torino-Inter. La notizia è il nuovo sponsor sulle maglie.
«Renault Trucks. So già che voi la leggerete in chiave anti-Fiat, ma è una forzatura».
Ha parlato di contratto innovativo. Si parla di bonus per una vittoria nel derby ma anche per obiettivi sulla carta irrealistici come lo scudetto.
«Perché no? È previsto tutto, anche lo scudetto. Del resto, loro ne hanno vinti sette di fila al Lione. Come minimo, portano bene».
Camion e tori, due immagini che si fondono bene. Una suggestione potente.
«Vero. Solidità, forza, determinazione. Lo stesso modo di aggredire lo spazio».
Gira molto più di una voce che lei fosse da ragazzo un ultras interista.
«Assolutamente falso. Discendo da una famiglia di tifosi granata, mamma e papà hanno vissuto l'epopea del Grande Toro».
«Italia contro il resto del mondo» ha titolato La Stampa a proposito di Torino-Inter. Tre soli stranieri e nemmeno fondamentali nel vostro organico.
«Non la direi una scelta strategica vera e propria. È che ci troviamo bene con i giocatori italiani, talenti in crescita come Rosina o da rilanciare come Sereni, portiere di qualità assoluta».
Mourinho le sta simpatico?
«Lo trovo brillante, ironico, talvolta provocatore, ma con un suo sense of humour».
Ha l'aria sprezzante dei suoi avi colonizzatori quando sbarcavano tra i selvaggi a spacciare collane e perline.
«Se allude alla polemica con Lo Monaco, dico che sarebbe stato difficile rispondere per chiunque. Altri avrebbero reagito anche peggio di Mourinho».
Anche il suo allenatore De Biasi ha insolentito il portoghese.
«Più che altro un buffetto ai media, pronti a esaltare tutto quello che fa Mourinho. De Biasi è un ambizioso, gli piace condividere lo stesso palcoscenico dei grandi. Non accetta di essere gregario. Questo mi piace».
Ai maliziosi che dicono: il Torino di Cairo è la terza squadra di Milano?
«Rispondo che è falso. Sono nato e vivo a Milano, ma le mie radici piemontesi restano molto forti. Contano i risultati e contano i tifosi che mi hanno accettato bene da subito».
Il suo cellulare è a loro disposizione.
«Ricevo una media di cento messaggi al giorno dai tifosi. Li leggo tutti, rispondo come e quando posso. È come avere uno strumento di sondaggio in tempo reale sugli umori della gente».
Blanc darebbe la sua moto, Cobolli Gigli rilancia, un anno di vita, per vincere la Champions. Lei cosa darebbe per battere la Juve nei due derby?
«Un anno di vita mi sembra un po' troppo. Mi punirei con una settimana di vacanza assoluta».
Chi lo vince lo scudetto quest'anno?
«Ancora l'Inter».
Anche nel calcio come nella vita sparisce il ceto medio?
«Non direi. Accanto ai club dei grandi fatturati ci sono il Napoli, il Genoa, la stessa Udinese, per non dire della Fiorentina che è quasi da fascia alta. Il Torino? Come risultati non siamo ancora nel ceto medio calcistico, come investimenti sì. Venti milioni nell'ultimo mercato. Anche se poi il calcio è anomalo...».
Quale tra le tante anomalie?
«Spendi tanto, ma alla fine può risultare decisiva la chimica del gruppo. Prenda il primo anno, quello della promozione. In sette giorni mettiamo su la squadra, sembrava l'armata Brancaleone. Beh, il tutto alla fine si combina miracolosamente. Il 35enne Muzzi con il ragazzo Rosina e il quarantenne capitan Brevi che dà l'esempio. Il senso dell'impresa compattò tutti, calciatori, tifosi e dirigenti».
L'imprenditore più lucido nel calcio di oggi?
«Gino Pozzo dell'Udinese. Ha dimostrato che il calcio può diventare un'azienda profittevole oltre che competitiva. In Italia sembra che fare dei profitti nel calcio sia cosa riprovevole».
Quanto le piace e quanto è utile apparire?
«Utilità vicino allo zero. All'inizio provavo molto piacere, ma la cosa aveva anche un senso. Si trattava di comunicare ai tifosi una presenza. Ora sto più attento all'overexposition».
Da casa l'idea è che stia a suo agio soprattutto quando a farle le domande c'è Ilaria D'Amico.
«Donna piacevolissima, brava a tenere lo studio con tutti quegli uomini del calcio. Tra noi funziona un giocoso ammiccamento. Ma sia chiaro, a me piace mia moglie».
La terza da qui a breve. Uomo affettivamente instabile o troppo generoso?
«Sono fasi della vita. La prima moglie, Anna, aveva quindici anni più di me e il matrimonio durò comunque otto anni. La seconda, una svedese molto bella, ne aveva sedici meno di me. Ora sto per sposare Maria Lidia. Abbiamo tre figli insieme e una storia consolidata».
Scelga la sua squadra Sky del calcio.
«Alla conduzione confermo la D'Amico. Come opinionisti mi piacciono Marchegiani, Boban e Mario Sconcerti».
La sua gallina dalle uova d'oro, Sandro Mayer. Le costa più lui o Rosina?
«Probabilmente Sandro Mayer, ma se li merita tutti. Ero fissato con il quotidiano popolare, lui mi convinse a fare un settimanale per le famiglie. Nacque «Dipiù». L'idea vincente: un euro per avere di più dei giornali che costano due. Un successo straordinario, 750 mila copie vendute».
Mayer fu per lei quello che Mike Bongiorno fu per Berlusconi. Ha apprezzato che non l'avevo fin qui ancora nominato?
«Moltissimo. Sì, direi che il paragone regge».
Che ne è del suo progetto di un quotidiano sportivo free press?
«Mi sono molto raffreddato. Il tema vero è la recessione. Fare oggi un giornale che poggia tutto sulla pubblicità, con la crisi che c'è nel settore, non ha senso».
Quattordici anni a fianco di Berlusconi. Cosa imparare e cosa disimparare?
«Da imparare tanto, tutto. Bastava stargli accanto e vederlo in azione. Una genialità, la sua, basata sull'essere semplici, a volte elementari. Creatività unica, capacità di lavoro, velocità incredibile. La prima non si può imparare, la seconda e la terza sì. Berlusconi era uno con i piedi buoni che si allenava più degli altri, il primo ad arrivare, l'ultimo a uscire. Lo diceva Joyce: il genio è 1 per cento "inspiration", 99 per cento "perspiration", sudore, fatica».
E cosa disimparare?
«Siamo tutti umani, anche lui è perfettibile... Mi faccia pensare... Al momento non mi viene in mente. Mi faccia pensare...».
Berlusconi ha Fedele Confalonieri, Marcello Dell'Utri, la mitica Marinella ed Emilio Fede. Lei?
«Io ho Uberto Fornara e Giuliano Cesari che stanno con me da vent'anni a capo della pubblicità e Giuseppe Ferrauto, direttore generale della Cairo Editore. E poi ho Gianni De Biasi, con me da tre anni al Toro. “Voglio fare di te il mio Ferguson” gli dissi quando l'ho ripresi lo scorso anno. “Ci sto a fare il Ferguson, ma non a rate”, mi rispose lui».
Le manca un Emilio Fede.
«No, ma ho Sandro Mayer, che non è un adulatore, ma con il quale ho una sintonia assoluta»
Come nemico è meno augurabile Carlo Tatò o Ibrahimovic?
«Nessun dubbio, Ibrahimovic».
Luciano Moggi la chiama per offrirle i suoi consigli?
«Qualche volta, ma io evito, vado per la mia strada».
Sfogliamo insieme il suo «Dipiù»: Giorgio Albertazzi rimpiange le case chiuse.
«Potrebbe essere una soluzione. Giusto togliere dalle strade le prostitute, ma cancellare la prostituzione mi sembra più difficile».
Mai stato con una malafemmina?
«Mai».
L'ex juventino Cabrini nella foto di gruppo in partenza per l'isola dei famosi.
«Apprezzo il suo modo di rimettersi in gioco. Mi delude invece quando fa l'attacco al sistema calcio che non lo vuole. Detesto i vittimisti».
Mi lascio andare: la chiamerò il golden boy di Alessandria.
«Un onore condividere questa definizione con Gianni Rivera».