Carlo Nesti, quando lo sport non è un esempio
Papa Francesco: “Gli atleti hanno la straordinaria possibilità di trasmettere a tutti, soprattutto ai giovani, i valori positivi della vita”.
Ebbene: in assoluto contrasto con le parole del Pontefice, 2 circostanze, ultimamente, hanno contraddetto questi nobili principi.
Il 26 gennaio, in Inter-Milan, si sono scontrati Lukaku, attaccante dell’Inter, e Ibrahimovic, attaccante del Milan. Il primo ha ironizzato sui parenti stretti dell’avversario, mentre il secondo ha evocato presunti riti woodoo, praticati dal rivale.
Il 9 febbraio, in Juventus-Inter, si sono scontrati Conte, allenatore dell’Inter, e Andrea Agnelli, presidente della Juventus. Il primo ha esibito il dito medio all’indirizzo dell’avversario, mentre il secondo ha destinato insulti assortiti al rivale.
Chiunque pratica, o assiste allo sport, sa perfettamente che i campi di gioco non hanno l’atmosfera solenne e raccolta di una sacrestia. Ma la differenza di questi atroci tempi di pandemia consiste nell’eccezione che gli stadi, purtroppo, sono vuoti. Ogni grido rimbomba, talvolta sguaiatamente, come in un cortile di periferia.
E’ per questa ragione che le parole del Papa acquistano una valenza ancora più profonda, nel duplice senso indicato da Francesco.
Le espressioni e le azioni “pubbliche” dei tesserati sono sotto gli occhi della massa, e il solo fatto di superare i confini della decenza ha il potere, spesso, di legittimare i comportamenti di ciascuno di noi nell’esistenza quotidiana.
Ma anche le espressioni e le azioni “private”, oggi che i social trasformano in un attimo il privato in pubblico, mettono di fronte i tesserati a responsabilità sempre crescenti, in particolare al cospetto della ricettività dei più giovani.
Per questo, chi ha un’immagine da difendere, non solo nello sport, ma nella vita di tutti i giorni, non dimentichi mai i doveri indicati da Papa Francesco, perché possono lasciarsi appresso una scia molto più pericolosa, e contagiosa, di quanto è lecito immaginare.
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