Carlo Nesti - Sport e cristianita' - luglio 2013 - Gay: contro il doping comunque... Wada
Il doping non è solo un pericolo per chi ne fa uso, ma per l’intera umanità: dalla “goccia” al “mare”. Perché?
Semplice. Nel momento in cui i valori dello sport di base sono meno seducenti di un tempo, agli occhi dei giovani, il loro unico punto di riferimento è lo sport di vertice. E se lo sport di vertice perde credibilità, la perde tutto lo sport.
L’ultimo caso si chiama Tyson Gay, l’anti-Bolt, nell’atletica leggera, della velocità. Anche lui è stato ingoiato da quell’omerico “Polifemo”, che è il controllo anti-doping. Un cannibale, che distrugge i nostri miti, ma che dobbiamo ringraziare in eterno, perché regge il confronto con gli inganni della medicina.
Il Manifesto dello Sport Educativo, redatto dalla C.E.I., sottolinea: “Noi riteniamo che lo sport non debba essere asservito alle logiche del mercato e della finanza, basato sull’arroganza dei «cattivi maestri»... sull’illegalità, sull’uso di sostanze dopanti”.
Il doping compie 3 attentati: contro la salute (individuo), contro il fair play (norme e istituzioni sportive), e contro la credibilità dell’agonismo (ancora istituzioni, più sponsor, media e pubblico). E’ cianuro, allo stato puro, per una delle espressioni migliori dell’uomo: l’attività motoria, a livello competitivo.
Al riparo del tremendo pensiero “se lo fanno tutti, perché io no?”, che significherebbe la fine, ciascuno si batta perché sia un’agenzia esterna, come la Wada, ad aumentare il potere, sganciata da interessi interni.
E perché le pene siano aspre e scoraggianti, unico deterrente immediato contro un “cancro” sempre più malefico. Lottiamo, comunque... Wada.
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