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Colantuono: "Al Toro ho commesso tanti errori"

di Claudio Colla

Intervistato da La Stampa, il tecnico dell'Atalanta Stefano Colantuono toglie un po' di enfasi dalla gara dell'"Atleti Azzurri d'Italia" in programma domenica sera, volgendo soprattutto alla scorsa, controversa stagione passata sulla panchina granata.

 

Stefano Colantuono, non dica che domenica sarà una partita come le altre...
«No, non lo è: sono stato molto felice di lavorare a Torino e porterò con me ricordi indelebili».

Ne scelga uno?
«Il giorno di Superga. Me l'avevano detto, ma quando l'ho provato sulla mia pelle ho capito tanto di questa società».

Quanto ha avuto dal Toro è chiaro, ma che cosa le ha tolto?
«La possibilità di vincere il campionato. Serviva più pazienza da parte di tutti. Dal presidente all'ambiente: bastava restare incollati al gruppo e ne saremmo venuti fuori. Ne ero e ne resto certo. Detto questo, domenica non cerco vendette».

La licenziarono per poi riassumerla dopo cinque partite. Cairo, Foschi o i giocatori: chi volle la sua testa?
«Non so chi mi abbia esonerato. E non mi interessa».

Il presidente Cairo in che cosa ha sbagliato?
«L'ho detto anche a lui. Dopo la sconfitta all'Olimpico contro la Roma che costò la retrocessione al Toro nel 2009, doveva riunire ancora la squadra e, sì, farle anche subire la contestazione a Torino...».

Scusi, ma che c'entra?
«Non facendolo, è successo che al secondo giorno di ritiro con me, i tifosi contestassero già la squadra. Se la presero con i vecchi, ma cominciare un anno in quelle condizioni non ha giovato a nessuno. Non a me e non ai nuovi arrivati che si chiesero subito dove fossero capitati».

Non era il caso di non ripresentare più le stesse facce (Di Michele, Diana, Colombo...) in serie B?
«Stiamo parlando di giocatori di valore, ma forse sì, cederli sarebbe stato meglio. Per molti di loro il rapporto con la piazza si era consumato. Tanto che dopo la rivoluzione di gennaio i tifosi sono stati eccezionali con noi e hanno avuto un gran merito nella cavalcata».

Toro-Crotone coincise con il suo licenziamento e con i sospetti di combine: ci dice la sua verità su quella partita?
«Alle voci non voglio credere, tanto che poi non ebbero alcun seguito. Con il Crotone pagammo due errori, poi andammo in bambola. Ma il crocevia della stagione fu la partita con il Lecce, pareggiarono nel finale. Con quella vittoria saremmo arrivati a ridosso della vetta».

A Brescia, a cadavere ancora caldo, disse: "Torno a Bergamo, a casa". Non un'uscita felicissima, non crede?
«Sono stato frainteso. Non volevo mancare di rispetto a nessuno, ma nemmeno mi andava di raccontare balle».

Pentito di quella frase?
«No. Ero libero e Bergamo è la città dove ho allenato di più. Anche Lerda se non sbaglio stava andando al Sassuolo e quando l'ha chiamato il Toro ha parlato di cuore e di casa».

Il Toro di Colantuono giocava male, quello di Lerda almeno dovrebbe giocare meglio. Vox populi, ma non solo: le dà fastidio?
«Dicano quello che vogliono. 41 punti nel ritorno, Bianchi che fa 26 gol: e Rolando mica dribbla tre uomini alla volta, qualche passaggio gli sarà pure arrivato. Tanto male allora non giocavamo».

La sua Atalanta: stitica in attacco (7 gol), ma insuperabile (2 subiti). Scelta o ancora non ci siete?
«Casualità. Basta vedere i dati sui tiri in porta e sul possesso palla. Due punte e un trequartista vero come Doni: più offensivi di così».

Che cosa dirà la partita di domenica sera?
«Poco o niente. In serie B il girone d'andata ha scarsa importanza, conta stare attaccati al treno delle prime. La promozione si decide a marzo, come nel passato. Per questo mi spiace ancor di più l'esonero dopo quel filotto negativo».

Ma lei quali errori ha fatto?
«Tanti. Tattici e gestionali».

Tipo?
«Meglio lasciar perdere, non mi va di litigare con nessuno».


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