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Contratto calciatori/Federsupporter: "Si poteva già sospendere lo stipendio e licenziare i tesserati colpevoli di illecito"

di Marina Beccuti

Le società potranno sospendere il pagamento dei compensi a calciatori squalificati per illecito sportivo o per scommesse vietate.


( Avv. Massimo Rossetti, Responsabile dell’Area Giuridico-Legale )



Si è avuta notizia che il 7 agosto scorso tra la Lega Calcio di Serie A e l’Associazione Italiana Calciatori sarebbe intervenuto un accordo di durata annuale per il rinnovo del CCNL dei calciatori.


Fra le più importanti novità di tale accordo viene segnalata la possibilità per le società di sospendere il pagamento dei compensi a calciatori squalificati anche in primo grado per illecito sportivo o per scommesse vietate.


Ciò premesso, parlare di novità è, a mio avviso, eccessivo, dovendosi più appropriatamente parlare del riconoscimento di una possibilità già in re ipsa (ricognizione dell’ovvio).


Un calciatore squalificato per illecito sportivo o per scommesse vietate (non è dato di capire se nell’accordo si parli anche di squalifica per omessa denuncia di un illecito) viene a trovarsi in una situazione di impossibilità sopravvenuta della
prestazione, così come, per esempio, si verifica per qualsiasi altro lavoratore dipendente nel caso di carcerazione dello stesso.


Caso in cui, fino al termine della situazione di impossibilità, ad eccezione dell’infortunio o della malattia, al lavoratore non è dovuta la retribuzione.


Si tenga, inoltre, presente che le condanne irrogate dagli organi della giustizia sportiva sono immediatamente esecutive, sin dal primo grado di giudizio.


Non v’è dubbio, pertanto, a mio avviso, che, indipendentemente dalla clausola collettiva ora stipulata, le società sono già legittimate a sospendere la corresponsione degli emolumenti a propri giocatori e allenatori squalificati per illecito sportivo o per scommesse vietate, per tutta la durata della squalifica, ancorché irrogata in primo grado.


Non solo, ma le suddette società una volta diventate definitive in sede di giustizia sportiva le squalifiche di cui trattasi, sono del tutto legittimate a risolvere il rapporto di lavoro con propri calciatori ed allenatori squalificati, per fatto e colpa di costoro.


Una squalifica, definitivamente acquisita, per illecito sportivo o per scommesse vietate e, sempre a mio avviso, anche per omessa denuncia dell’illecito, posto che si è in presenza di massime infrazioni previste dall’ordinamento sportivo a tutela
del bene primario costituito dalla regolarità delle competizioni, non può, infatti, non integrare una più che giusta causa di recesso dal rapporto di lavoro sportivo professionistico.

E’, altresì, evidente che le società, in questo caso, hanno il diritto al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dagli illeciti commessi ed accertati in capo a propri tesserati.


Al riguardo, si pensi, a titolo esemplificativo, al danno costituito dall’eventuale maggior costo di rimpiazzo del tesserato squalificato, alla perdita del valore commerciale del calciatore , nonchè al danno di immagine.


D’altronde, per gli amministratori delle società sussiste, non solo il potere, bensì il dovere di agire come sopra, a salvaguardia dei diritti e degli interessi delle società stesse e dei loro azionisti, se società per azioni, o dei loro quotisti, se società a responsabilità limitata.                                                 
                                   

Quid juris nel caso di patteggiamento ? Poiché il patteggiamento ( applicazione della pena su richiesta delle parti) comporta una pena, è evidente che la sospensione dell’obbligo per le società di corrispondere i compensi ai tesserati che hanno patteggiato vale per tutta la durata della pena stessa, versandosi, anche in questo caso, in una situazione di impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Per quanto concerne la risoluzione del rapporto di lavoro e la conseguente richiesta di risarcimento dei danni da parte della società, è opportuno sottolineare che, in ambito penale ( art. 444 e segg CPP), il patteggiamento, pur implicitamente presupponendo una affermazione di colpevolezza, è un accordo che  interviene sull’entità della pena, non sul reato.

Esso non fa stato in connessi giudizi civili ed amministrativi e, in caso di costituzione di parte civile, non comporta una decisione sull’azione civile stessa, che può autonomamente proseguire nella sua naturale sede civilistica o amministrativa.


L’art. 445, comma 1/bis, ultimo periodo, CPP, tuttavia, come introdotto dalla legge 12 /06/2003, n, 134, in sostituzione dell’originario comma 1, stabilisce che :”salve diverse disposizioni di legge, la sentenza (che approva l’accordo delle parti
sulla pena da irrogare, n.d.r.) è equiparata ad una pronuncia di condanna .” ( ved. le mie note del 1 agosto scorso su www.federsupporter.it)


Peraltro, tale valenza risulta confermata, in sede applicativa, dalle Sezioni Unite della Cassazione che, con sentenza del 23 maggio 2006, n. 17781, qualificando, per l’appunto, il patteggiamento come una pronuncia di condanna, l’ha ritenuta idonea a
determinare la revoca di una precedente condanna a pena sospesa.


Ma la vera novità sarebbe costituita dal fatto che, finalmente, le istituzioni sportive ed il legislatore prendessero atto della ormai anacronistica qualificazione del rapporto di lavoro tra società sportive, giocatori ed allenatori professionisti, come di lavoro subordinato. Qualificazione che risale al lontano 1981 ( legge n. 91/ 23 03.1981) adottata in un contesto socio-economico-giuridico , nel frattempo, del tutto mutato.


Basti pensare alle forme di flessibilità introdotte nel 2003, con la così detta “Legge Biagi” ( Decr. Lgs. N. 276/2003) e, da ultimo, con la così detta” Legge Fornero” ( Legge n. 92/2012), di riforma del mercato del lavoro.



Aggiungasi il profondo mutamento intervenuto nel mondo del lavoro sportivo professionistico per effetto della così detta “sentenza Bosman “che ha abolito il vincolo a favore delle società e che, di conseguenza, ha notevolmente riequilibrato
i rapporti di forza contrattuale tra le società stesse e gli atleti professionisti, a favore di questi ultimi, al punto che non è fuori luogo ritenere che la parte contrattuale debole siano diventate proprio le società.


Aggiungasi, ancora, il ruolo sempre più preponderante assunto dagli agenti di calciatori, diventati i veri domini del mercato del lavoro calcistico, dimenticandosi o facendosi finta di ignorare che l’intermediazione di rapporti di lavoro subordinato è nel nostro ordinamento vietata a soggetti quali i menzionati agenti ( per maggiori approfondimenti leggasi in : Appendici “ Gli agenti dei
calciatori; aspetti di natura regolamentare sportiva, civilistica e tributaria“.
pagg. 213-224 in “L’impresa sportiva come impresa di servizi : il supporter –
consumatore”, Tempesta Editore 2012 di cui sono coautore con Alfredo Parisi ) .


E’ giunta, dunque, l’ora che, preso atto di tutto ciò, le Istituzioni sportive e il Legislatore si decidano a modificare la legge 91/1981, qualificando, in maniera più aderente ai tempi ed al mutato quadro socio-economico-giuridico del Paese, il
rapporto intercorrente tra società sportive ed atleti e allenatori professionisti, non più come di lavoro subordinato, bensì di lavoro a progetto.

Vale a dire di un lavoro autonomo caratterizzato, per l’appunto, da una spiccata autonomia nell’ambito di un progetto funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale : nella fattispecie, il risultato sportivo.

Avv. Massimo Rossetti


Marco Liguori - Responsabile ufficio stampa Federsupporter
email marco.liguori@federsupporter.it
http://www.federsupporter.it