DE BIASI ambizioso non convince Cairo
Fonte: Stampa.it
L’uomo, in estate, ha fatto tutte le cose per bene. Proprio per questo quando Urbano Cairo guarda la classifica, ancora non riesce a capire che cosa stia succedendo al Toro. Intendiamoci: un punto in più dell’anno scorso è l’ombrellino sotto cui ripararsi quanto il saldo attivo con le parigrado (Lecce, Reggina e Chievo) è il tesoretto dell’ottimismo. Però: dei granata, ad allarmare sono l’incapacità di tagliare i ponti col passato e la velocità con cui si squagliano al primo segnale dispari. Insomma di un cambio di passo nemmeno l’ombra.
Derubricato il ko con l’Inter a sconfitta utile, è il tracollo con la Lazio mettere in dubbio la consistenza del Toro. Al netto del periodo di grazia dei romani, le due squadre hanno molti punti in contatto, ma troppi (viste le similitudini) di distacco. E allora perché il Toro non è (ancora?) la Lazio è una domanda che ha un ventaglio di risposte. La prima. Lotito viaggia con lo stesso allenatore da 4 campionati, a Delio Rossi ha affidato un progetto sopravvissuto a Calciopoli, riemerso fino alla Champions e ora, dopo un campionato anonimo, lucidato fino a risplendere. Quando Rossi piantava le tende a Formello, Cairo salvava il Toro dal fallimento. Da quel giorno, turn over sulla panchina: De Biasi, Zaccheroni, De Biasi, Novellino, De Biasi. Sopravvissuto a due licenziamenti, il rapporto tra il presidente e l’attuale tecnico è minato ma paradossalmente molto forte. Tanto che Cairo ha messo nelle sue mani il Progetto.
Montato e rimontato ogni anno come un Lego, però, il Toro è sempre ripartito da zero. Inversioni e conversioni diventate zavorre. Seconda risposta. Il tourbillon orchestrato da Cairo ha divorato i collaboratori. Salvatori, Tosi, Antonelli: falchi e colombe. Su tutti, però, l’interventismo presidenziale. Cui, quest’anno, l’arrivo di Pederzoli sembra aver messo un freno. Non è un caso che solo ora, dalle ceneri della precedente rete di osservatori, stia nascendo la struttura che farà capo al nuovo ds. Zarate non si prende per caso. Nemmeno Dzemaili e Saumel, se è per questo: ma è proprio la nuova attenzione ai mercati stranieri, frequentati invece di striscio in passato, la clessidra del tempo perduto.
Terza risposta. La gestione tecnica. Gianni De Biasi è un formidabile condottiero quando si tratta di timonare nelle secche: la promozione col primo Toro di Cairo, le due salvezze all’ultimo respiro (più l’avventura al Levante) sono i galloni da capitano coraggioso. Ora si tratta di uscire in mare aperto. «Prima o poi, vincerò uno scudetto» disse un mese fa. Ma l’ambizione è una brutta bestia. Ti fa giocare con tre punte contro l’Inter, perseverare nell’errore a Verona (quando sei in difficoltà) e sostituire Corini con Amoruso regalando praterie alla Lazio, crocefiggendo Saumel e Dzemaili e togliendo rifornimenti all’attacco. Nel suo primo Toro, De Biasi legava Lazetic e Rosina sulle rispettive fasce e giocava con Muzzi e Abbruscato. Funzionava. Abate per Lazetic: e potrebbe rifunzionare. Provarci non è tornare indietro. Non provarci è, per ora, restare indietro.