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De Rossi su Cassano

di Raffaella Bon

Si può vivere una vita da mediani, cadere e rialzarsi, vincere un Mondiale, guadagnarsi - a detta di Capello - il titolo di miglior giocatore italiano. Il tutto senza chiamarsi Cassano nè dare spettacolo, e non per questo sentendosi degli 'sfigatì. «Antonio disse così dei ragazzi dell'Under 21 dalla quale rimase fuori - ricorda oggi Daniele De Rossi, simbolo di una nazionale azzurra più grinta che talento puro - ovviamente nessuno di noi lo era, e poi lui è fatto così: son dieci anni che proviamo a convincerlo che se non sei come lui non è detto tu abbia la sfiga addosso...». Il centrocampista della Roma, partita dopo partita, si è messo al centro di questa Italia pronta a volare a Dublino per la sfida decisiva verso Sudafrica 2010. Per posizione tattica e per mentalità. «La nazionale - spiega - non ha mai dato spettacolo, almeno non nel senso dell'Olanda o del Brasile. Non aspettatevi da noi possesso palla e gioco a due tocchi. Ma squadre compatte, personalità, spunti individuali». E allora non ci starebbe bene uno come Cassano? «Di tutti i nostri attaccanti - è sicuro De Rossi - lui è quello con più talento, il più divertente . Ma se parliamo del problemi del gol, attenti: in campionato segnano di più altri, sia attaccanti presenti qui in nazionale sia altri come Pazzini, che è fuori». Come dire, Cassano non è la soluzione. D'altra parte, se De Rossi ha fatto eccezione alla richiesta di Lippi di chiudere il cerchio azzurro e tener fuori qualsiasi argomento esterno, l'intenzione era quella di difendere questa nazionale, non quelle futuribili o immaginarie. Anche di fronte all'ipotesi di ritorni eccellenti, vedi alla voce Totti o Nesta. «Di un ritorno di Francesco in azzurro sarei piacevolmente sorpreso - ammette De Rossi - Lui, come Nesta, è protagonista di un grande inizio di stagione. Ma alla loro età sono vaccinati, nel momento in cui hanno rinunciato alla nazionale si sono assunti una responsabilità. Solo una cosa vorrei sottolineare: ora tutti riconosciamo come vero che l'addio di Totti era legato all'impossibilità di giocare 60 partite l'anno, un atto di amore verso la Roma e di serietà verso l'azzurro. Eppure tre anni fa pensavamo fosse una scusa, legata all'incompatibilità con Donadoni...». Certe eredità sono difficili da raccogliere («dopo Totti, dopo Baggio, non li ritrovi subito giocatori del genere per la nazionale»), ma ora l'Italia dei mediani ha trovato la sua quadratura. «Torno in nazionale - spiega De Rossi - più sereno di un mese fa, la Roma ha una situazione più serena. Spalletti da nazionale? Non so, scommetto solo che avrà una grande carriera. Io, personalmente, ora gioco nella mia posizione, davanti alla difesa: e abbiamo cancellato qualsiasi dubbio sull'incompatibilità con Pirlo, a dire il vero mai esistita». C'era eccome, invece, con un ex allenatore azzurro, ai tempi dell'U.20: «Ho gioito per la vittoria degli azzurrini nel mondiale, tanti di quei ragazzi faticano a trovare spazio in campionato; 'brucano l'erbà, come si dice. Non mi stupisce - prosegue De Rossi - che i club ne abbiano negati altri, successe anche a me, è capitato oggi a Poli della Samp: non credo sarà stato contento di giocare mezza partita da titolare e rinunciare a un mondiale Under 20, quello ti capita una volta nella vita. Rocca? Serio, coerente, professionale, ma avevamo idee molto diverse: lui aveva problemi con me, io mi alleno anche 4 ore, ma poi per il resto rido e scherzo. E questo non lo accettava». Quanto a tolleranza, Cassano invece ne mostrò poca verso la Under 21 di Gentile che non lo voleva: di quei ragazzi scrisse nella sua autobiografia attribuendo loro il marchio degli sfigati: «Non lo eravamo noi, non lo era l'Under precedente - chiude De Rossi sorridendo sereno - Molti di quei giocatori sono diventati campioni del mondo. Ma lo sappiamo, è il suo modo di dire». Ma quanto è difficile mettere insieme un campione e tanti sfigati.


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