Federsupporter, Roma – Lazio dell’8 novembre 2015: “Se questo è derby”
(Avv. Massimo Rossetti, Responsabile dell’Area Giuridico – Legale)
Viene da chiedersi, volendo parafrasare il titolo del libro di Primo Levi “Se questo è un uomo”, se la partita Roma – Lazio dell’8 novembre scorso possa essere definito un “derby”.
La risposta a tale interrogativo deve essere, a mio avviso, negativa.
Almeno se per “derby” non si deve intendere solo la gara sul campo, ma anche, anzi, soprattutto, l’entusiasmo e la partecipazione popolari che precedono, accompagnano e concludono l’evento.
Per esempio, potrebbe essere definito “Palio di Siena” un “Palio” senza i contradaioli ?
Verrebbe da dire che il “il malato è guarito perché è morto”, se si pone mente al fatto che lo pseudo derby dell’8 novembre scorso si è svolto senza una significativa cornice e partecipazione di pubblico.
Se, poi, si pensa alle “terapie”applicate al derby, allo scopo di prevenire incidenti e turbamenti dell’ordine pubblico, si potrebbe dire con Moliere (cfr “L’Amour Médecin” II, 1) che il derby romano e, più in generale, il calcio rischiano di morire “di quattro medici e di due farmacisti” o, per dirla con il poeta latino Marziale (cfr “Epigrammi”, I, 47), “Diaulo faceva il dottore, ora si è messo a fare il becchino; quel che fa da becchino, faceva già da dottore”.
Poiché credo, a parte scherzose citazioni letterarie, che nessuno, in buona fede, voglia affossare definitivamente né eventi come il derby capitolino né, più in generale, il calcio, v’è bisogno che da tutte le parti interessate vi siano manifestazioni di buona volontà e di buon senso reciproci.
Ed è per questo che Federsupporter aveva lanciato la proposta (cfr Comunicato del 4 novembre su www.federsupporter.it) all’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive (ONMS) di farsi parte diligente onde convocare, al più presto, una riunione presso lo stesso Osservatorio tra, da un lato, la Prefettura e la Questura di Roma, le Società Lazio e Roma, nonché, dall’altro, Federsupporter, in rappresentanza dei tifosi.
La riunione avrebbe dovuto e dovrebbe avere come oggetto quello di fare il punto della situazione venutasi a determinare nelle Curve Nord e Sud dello Stadio Olimpico di Roma, verificando la possibilità di nuove soluzioni in grado di contemperare le esigenze di sicurezza e ordine pubblico con quelle dei tifosi, in specie della parte più calda e appassionata di questi ultimi.
Purtroppo, la proposta è rimasta, almeno sinora, inascoltata e, quindi, v’è il rischio che la situazione tenda a peggiorare e a incancrenirsi.
Né giova l’annuncio di incontri di carattere, più o meno privato, tra esponenti di una sola delle due Società coinvolte con la Prefettura, non essendo, a mio avviso, questo né il modo né la sede più opportune per affrontare e risolvere, in maniera generalizzata, uniforme e condivisa, le questioni sul tappeto.
Laddove, a tale proposito, l’unica maniera e l’unica sede appropriate sono quelle indicate da Federsupporter nel citato Comunicato del 4 novembre scorso.
Neppure giova la diffusione di allarmi esagerati prima di manifestazioni sportive, come è avvenuto nei giorni immediatamente precedenti la gara Roma – Lazio dell’8 novembre scorso.
In questa occasione plurimi organi di informazione hanno parlato, dandola per certa, di una sorta di “invasione barbarica” della Capitale a opera di una specie di “orda” di teppisti proveniente da mezza Europa (un mix di polacchi, inglesi e spagnoli) che, peraltro, sia per l’esiguità del numero (non più di circa 50 soggetti) sia per essere già ben noti alle Forze dell’ordine, avrebbero potuto, come poi è avvenuto, essere facilmente messi in condizione di non nuocere.
Notizie che certamente non hanno indotto molti tifosi per bene, già dissuasi per altri motivi, a recarsi allo stadio per assistere al derby.
Altrettanto improduttivo in tema di sicurezza e ordine pubblico a causa o in occasione di manifestazioni sportive è chiedersi “se sia nato prima l’uovo o la gallina”.
Cioè a dire se il mancato ricorso a misure che, recentemente, una pronuncia del Tribunale di Roma, di sicuro soggetto non sospetto, ha qualificato come “pesantemente discriminatorie e immotivatamente punitive”debba avvenire solo dopo che i tifosi abbiano dato ripetute prove di correttezza e civiltà, oppure se si debba evitare che tali misure siano o possano essere percepite, ex ante, così come le ha definite la suddetta pronuncia, con l’effetto di provocare la desertificazione degli stadi.
E’ vero che in una materia così delicata e difficile non esistono “bacchette magiche”, tuttavia, ciò non può e non deve distogliere dalla ricerca di quelle soluzioni in grado di contemperare esigenze diverse ma tutte legittime.
In tema Federsupporter, così come nel passato, ha proposto l’adozione anche in Italia di modelli stranieri, quali quello olandese e, in specie, tedesco.
Modelli che vedono riservate negli stadi apposite e specifiche standing area, ben identificate e identificabili senza la necessità di barriere divisorie, alla frange più calde e appassionate dei tifosi, nelle quali aree si possa seguire la partita senza posti assegnati, anche in piedi, con l’uso di scenografie, bandiere, strumenti acustici e a percussione, fermo restando il divieto di utilizzo di qualsiasi ordigno potenzialmente pericoloso per l’incolumità e di qualsiasi simbolo, striscione, cartello, inneggiante alla violenza o alla discriminazione.
D’altronde, la tecnologia mette oggi a disposizione sofisticati strumenti di identificazione a distanza che consentono di individuare singoli soggetti che non si attengano alle regole, evitandosi indiscriminate misure penalizzanti e coercitive di massa che capovolgono il principio “colpirne uno per educarne cento” nel suo opposto “colpirne cento per educarne uno”.
Ma un contributo essenziale alla prevenzione di fenomeni di violenza a causa o in occasione di manifestazioni sportive può venire da un sistematico e costante coinvolgimento dei tifosi da parte delle società di calcio.
Ecco, dunque, che diventa decisivo creare e far funzionare, all’interno delle predette società, quei Dipartimenti per i rapporti con i tifosi o SLO (Supporter Liaison Officer) che, sin dal 2011, l’UEFA ha posto come condizione per ottenere le licenze di partecipazione alle competizioni organizzate dalla stessa UEFA.
Disposizioni recepite dalla FIGC, ma che sono state sinora sostanzialmente disattese o eluse dalla maggior parte dei club italiani, i quali si sono limitati a nominare SLO propri dipendenti o collaboratori spesso del tutto inadatti o inadeguati a svolgere le delicate funzioni loro attribuite e spesso operanti solo sulla carta.
Inadeguatezze e carenze che, però, almeno sino ad adesso, non hanno dato luogo a nessuna conseguenza nei confronti delle società inadempienti che, pertanto, hanno tranquillamente proseguito e proseguono nelle loro politiche vetero – padronali e autoritarie, ma certamente non autorevoli, considerandosi “legibus solutae” sia da norme dell’ordinamento sportivo sia da norme dell’ordinamento generale, malintendendolo lo sport, non come “cosa di tutti”, bensì come esclusiva “cosa nostra”.
Senza, altresì, voler considerare che il calcio nostrano, per dirla con il Presidente del CONI, dr. Giovanni Malagò, anch’egli certamente soggetto non sospetto, è delegittimato da chi lo rappresenta.
Ed è per questa ragione che ritengo opportuno e utile, anche a beneficio di ignari e smemorati, ripubblicare in calce la lettera aperta del 20 aprile scorso inviata dal Presidente, Alfredo Parisi, per l’appunto, al dr. Malagò, proprio sul tema della violenza a causa o in occasione di manifestazioni sportive: lettera che faceva seguito al Convegno sullo stesso tema tenuto il 16 aprile scorso presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi Di Roma, La Sapienza, organizzato dall’ONMS in collaborazione con la predetta Università.
Avv. Massimo Rossetti
“Roma, 20 aprile 2015
Lettera aperta al Presidente del CONI, dr. Giovanni Malagò, sul tema della violenza a causa o in occasione di manifestazioni sportive.
Egregio Presidente,
Il 16 aprile scorso, presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Roma , La Sapienza, si è svolto sul tema in oggetto un importante ed interessante Convegno, promosso dall’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive in collaborazione con la predetta Università. Al Convegno è stata espressamente invitata a partecipare Federsupporter.
In esito a quest’ultimo, sempre nello spirito di leale cooperazione che contraddistingue l’attività e il rapporto di Federsupporter con le Istituzioni, sportive ed extrasportive, ritengo opportuno ed utile sottoporre alla Sua attenzione le considerazioni che seguono.
Allo scopo di combattere e arginare il fenomeno della violenza nello sport non si può ricorrere, come si è fatto principalmente fino ad oggi, a strumenti e misure coercitive, di prevenzione e repressione, di carattere sia penale sia amministrativo sia sportivo.
A questo proposito, ormai nel nostro Paese esiste un corpus normativo impressionante, spesso frutto di situazioni emergenziali, privo, quindi, di sistematicità e organicità, equiparabile, per quantità e intensità repressiva, ai corpus normativi in materia di terrorismo e di criminalità organizzata. All’atto pratico, però, in sede applicativa, tali strumenti e misure si sono rivelate e si rivelano, in buona parte, sostanzialmente inefficaci.
Basta pensare al fatto che, mentre è severamente vietata e penalmente sanzionata l’introduzione negli stadi di artifizi esplodenti e pirotecnici e l’esibizione di striscioni inneggianti alla violenza o alla discriminazione, detti ordigni e striscioni vengono sistematicamente introdotti ed esibiti negli impianti sportivi.
Nel contempo, gli spettatori si vedono costretti a lasciare l’ombrello fuori dallo stadio quando piove e a portare con sé bottigliette d’acqua o di altre bevande prive del tappo di chiusura.
Quanto agli striscioni, essi non possono – non potrebbero – essere introdotti ed esibiti se non preventivamente autorizzati, esistendo all’uopo una cosiddetta “banca degli striscioni” che costituisce – dovrebbe costituire – una sorta di vademecum per i tifosi circa la liceità e ostensibilità dei contenuti degli striscioni stessi.
Che dire, poi, come giustamente rilevato nel suo intervento al Convegno dall’allenatore della Roma, Garcia, del fatto che, nonostante la tessera del tifoso e nonostante che i biglietti siano nominativi, si continui a fare largamente ricorso a sanzioni di massa, anziché individuali.
Sanzioni che inaspriscono la gran parte dei tifosi corretti, ingiustamente e incolpevolmente danneggiati, mentre lasciano del tutto indifferenti la, per dirla con il dr. Lotito, “sparuta minoranza” dei violenti che, anzi, da tale forma di sanzioni traggono ulteriore incoraggiamento per i loro comportamenti.
Comportamenti che vengono esaltati nella loro risonanza, in specie mediatica, nonché nella loro portata intimidatoria.
Non solo, ma v’è anche il rischio che tali sanzioni di massa, invece di provocare l’isolamento e la marginalizzazione delle frange violente e prevaricatrici, generino sentimenti di comprensione e solidarietà nei confronti di queste ultime, prevalendo in molti il sentimento di iniquità della sanzione collettiva sulla illiceità dei comportamenti illegali di pochi.
Viene da chiedersi, inoltre, a che cosa servano sempre più progrediti e sofisticati strumenti di identificazione a distanza, installati negli impianti sportivi e nelle loro adiacenze e a disposizione delle Forze dell’ordine e degli steward, se, in realtà, sono ben pochi i soggetti violenti che vengono identificati e sanzionati rispetto alla netta prevalenza dell’irrogazione di sanzioni, sportive, amministrative e penali, che vanno a colpire, senza alcuna distinzione e prescindendo da responsabilità personali, la stragrande maggioranza dei sostenitori del tutto corretti e incolpevoli.
Neppure si può realisticamente pretendere, come pure alcuni pretendono o vorrebbero pretendere, che siano gli spettatori corretti e per bene a isolare e marginalizzare negli stadi gli spettatori violenti e prevaricatori.
E’ del tutto utopistico e irrealistico, infatti, che una moltitudine di soggetti non organizzati possa opporsi, con immediatezza ed efficacia, a minoranze, però organizzate e dedite all’uso di mezzi violenti e intimidatori, nei cui confronti un singolo o più singoli non possono non avere un più che comprensibile e giustificato metus.
Neppure ha senso il monotono richiamo da parte di taluni all’esperienza inglese.
Costoro non tengono conto del fatto che, a differenza dell’Inghilterra, l’ordinamento costituzionale italiano non permette l’uso della forza a soggetti diversi da quelli appartenenti alle Forze dell’ordine né consente l’arresto immediato in celle che si trovino all’interno degli stadi stessi.
Ciò che si deve – dovrebbe – fare è finalmente attuare quelle misure previste nel pacchetto elaborato dalla Task Force per la sicurezza e la partecipazione alle manifestazioni sportive, costituita nell’ambito del Ministero dell’Interno, presentato circa un anno fa, cui Federsupporter ha dato il proprio riconosciuto e apprezzato contributo.
Mi riferisco, più precisamente, alla segmentazione dei settori degli stadi: ciascuno da riservarsi a specifiche categorie di spettatori, compreso quello riservato e, perciò, più controllabile, ai tifosi più caldi e appassionati in cui possano esibirsi striscioni, emblemi, bandiere, cartelli di incitamento, pur sempre nel rispetto di criteri di legalità, statuale e sportiva, nonché in cui si possa fare ricorso a strumenti musicali e acustici, con esclusione di ordigni esplodenti e pirotecnici, così come avviene in altri Paesi, quali l’Olanda e la Germania.
Mi riferisco, altresì, all’introduzione e all’attività degli SLO (Supporter Liasion Officer), cioè, come prescritto sin dal 2011 dall’UEFA e, poi, nel 2012, dalla FIGC, quella figura societaria deputata ad intrattenere contatti e rapporti tra la società e i tifosi.
Attualmente risulta che gran parte delle predette società o non abbiano ancora introdotto tale figura o lo abbiano fatto solo formalmente o formalisticamente.
Peraltro, come più volte rimarcato, finora invano, da Federsupporter, affinché la suddetta figura possa effettivamente ed efficacemente svolgere il proprio ruolo, la cui importanza ed efficacia non possono sfuggire anche ai fini della prevenzione di atteggiamenti e comportamenti violenti o, comunque, scorretti, è indispensabile che vengano predeterminati dei precisi e specifici requisiti per il riconoscimento delle rappresentanze dei tifosi: requisiti dei quali oggi manca qualsiasi determinazione.
In altre parole, la strada da seguire, mutatis mutandis, è quella seguita in materia di rappresentanze sindacali dei lavoratori.
Così come con i datori di lavoro e le loro rappresentanze non dialogano singoli lavoratori, bensì le rappresentanze di questi ultimi, rispondenti a specifici requisiti, analogamente con le società sportive e le loro rappresentanze non possono che dialogare soggetti collettivamente rappresentativi dei tifosi, anch’essi rispondenti a predeterminati, specifici requisiti.
Il dialogo istituzionale può sussistere soltanto tra soggetti collettivi che si legittimano e si riconoscono reciprocamente.
Circa la realizzazione, più volte invocata, di nuovi e moderni impianti sportivi dotati di tutti quei comfort che, pure, possono contribuire a una meno stressante e più pacifica partecipazione agli eventi sportivi, a parte alcune lodevoli eccezioni, già esistenti o in fieri, la situazione è rimasta sostanzialmente invariata (impianti fatiscenti, scomodi, inadatti allo spettacolo sportivo, privi, addirittura, di servizi igienici fruibili).
Ci si è trastullati, finora, in propositi e progetti puramente velleitari, nell’invocazione di una legge ad hoc che, barcamenatasi in Parlamento per circa quattro anni, una volta approvata, si è scoperto essere, in pratica, inutile, se si avevano e si hanno, per davvero, volontà e mezzi realizzativi di nuovi impianti, mentre, nelle intenzioni di alcuni, essa era stata ed è assunta come mero pretesto per la realizzazione di colossali speculazioni edilizie, in spregio, spesso, di norme a tutela dell’ambiente e della sicurezza pubblica.
La verità è che, dal punto di vista della possibilità per le società di escludere ed espellere dagli stadi soggetti violenti o pericolosi, tale possibilità non dipende affatto dal titolo giuridico, (proprietà, affitto, concessione d’uso) posto a base della gestione dello stadio, bensì dal fatto che, dovendosi considerare quest’ultimo un “luogo aperto al pubblico” ( a differenza del “ luogo pubblico” cui tutti possono accedere senza alcun titolo. Cfr Cassazione, Sezione I Penale, sentenza 12 settembre 2014 n. 37596), le società stesse, poiché esercitano un diritto sul luogo, possono porre delle condizioni di accesso a quest’ultimo, ivi compresa quella che si traduce in uno ius excludendi di taluni soggetti.
Da ultimo, ma non per importanza, il rispetto dei valori e principi fondanti l’ordinamento sportivo, quali quelli di correttezza, lealtà e probità, per poter essere legittimamente richiesto e, ove occorre, imposto ai sostenitori, presuppone che tale rispetto venga assicurato, in primis, nei confronti degli esponenti delle Istituzioni sportive e di chi le rappresenta.
A questo riguardo, non posso che riportarmi alle precedenti lettere aperte inviateLe sul tema della tutela della onorabilità degli organismi sportivi. Né è certamente casuale e senza motivo che Lei, tempo fa, ebbe pubblicamente a dichiarare che il sistema calcio è delegittimato da chi lo rappresenta.
Né si può continuare ad ignorare quanto espresso dal dr. Raffaele Cantone, attuale Presidente della Agenzia Anticorruzione, nel suo libro “Football Clan”, Rizzoli Editore 2012, secondo il quale “Che vi sia bisogno di una riforma radicale del calcio e delle sue strutture lo sostengono tutti, tranne i responsabili del settore. Perché alla fine quelli che non hanno voce in capitolo sono proprio i tifosi, esclusi dalla possibilità di influire sulle scelte. Un football che è solo affare di pochi difficilmente riuscirà a risollevare la fiducia minata da tanti cattivi esempi, mentre l’opacità delle compagini societarie gestite con criteri da vecchi baroni e condizionate da debiti ciclopici offre spazi per irruzioni sempre più profonde delle mafie”.
Mi chiedo e chiedo come possa legittimamente e credibilmente richiamarsi i tifosi all’osservanza delle regole, se, nell’ambito degli organismi istituzionali rappresentativi del sistema calcio, si consente che di essi facciano parte persone condannate in via definitiva per reati finanziari, indipendentemente dall’entità della pena detentiva per essi prevista e comminata.
Mi chiedo e chiedo come di detti organismi si possa consentire che facciano parte coloro i quali siano stati riconosciuti, pure con sentenza definitiva, responsabili di aver arrecato danni all’Istituzione sportiva di cui fanno parte e che rappresentano.
Come è possibile che componenti di tali organismi siano coloro, nei confronti dei quali sia stata definitivamente accertata la responsabilità di delitti non colposi, quale quello, per esempio, di frode sportiva, ancorché dichiarati estinti per prescrizione.
Laddove quest’ultima, come è o come dovrebbe essere noto, se estingue l’illiceità penale di un fatto, non ne estingue l’illiceità sotto altri profili (civile, amministrativo, disciplinare).
Si tenga presente che un illustre imputato in un processo che lo riguarda, quale il dr. Marco Tronchetti Provera, uomo di sport, oltreché di impresa, rinunciando alla prescrizione, come, per legge, suo diritto e facoltà, ha definito quest’ultima “moralmente inaccettabile”, mentre, al contrario, nel mondo del calcio che, come si è detto, si ispira o si dovrebbe ispirare ad alti valori e principi etico – morali, quali quelli di correttezza, lealtà e probità, la prescrizione del delitto è considerata “moralmente accettabile”, al punto che l’ordinamento calcistico consente anche a chi sia stato definitivamente riconosciuto responsabile del delitto di frode sportiva, sebbene prescritto, di ricoprire cariche sportive ai massimi livelli.
Nel ringraziarLa nuovamente per l’attenzione e con l’auspicio che quanto esposto, in questa mia e nelle precedenti, possa dar luogo a quelle riforme radicali evocate ed invocate dal dr. Cantone, con l’occasione, Le porgo i miei più cordiali saluti.
Il Presidente
Dr. Alfredo Parisi”