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L'avvocato Lievore e l'arrivo di Meroni

di Marina Beccuti

Il Torino era fallito da poco e salvato dai Lodisti, poi arrivò Cairo che all'epoca riportò un certo entusiasmo. In quel periodo difficile la sottoscritta ebbe la fortuna di poter intervistare (all'epoca per Toronews) proprio l'avvocato Alberto Lievore. Ne riportiamo una parte, quella che può ancora essere attuale oggi, per farlo conoscere ai lettori più giovani e per un omaggio alla sua vita intinta di granata.

 

Avvocato Lievore, com’è arrivato al Torino?
“Sono stato chiamato da Ferruccio Novo nel 1952, prima come responsabile del settore giovanile, in seguito divenni Segretario del Consiglio, l’equivalente odierno di General Manager. Rimasi con queste cariche fino al 1958, poi ebbi dei contrasti con l’allora presidente Rubatto e me ne andai. Passai anche il periodo di Filippone in tandem con Tillario. Le mie divergenze furono causate dalla cessione di Fogli e Castelletti che non approvai”.

E’ rimasto in seguito nel mondo del calcio?
“Sì, andai al Genoa, esattamente nel 1963. Fui l’autore del passaggio di Gigi Meroni proprio dai rossoblu ai granata. Lo consigliai a Pianelli, che incontrai proprio per l’affare. In quel caso fui veramente perplesso se far prevalere il cuore o la ragione. Eravamo a Milano al Gallia, era l’ultimo giorno valido per le trattative e Meroni era in bilico tra la Juventus e il Torino, trattammo a lungo. Il prezzo di Gigi si aggirava sui trecento milioni di lire, più un giocatore che Pianelli doveva darci. Alla fine Meroni costò in totale 370 milioni di lire, a noi fu dato in prestito con diritto di riscatto il giovane Agroppi per dodici milioni di lire più Cappelletti prelevato dall’Inter, dopo che Pianelli lo trattò col mio grande amico Italo Allodi, all’epoca dirigente nerazzurro. A Pianelli mentre firmava le tante cambiali tremavano le mani, ma lo rassicurai dicendo che aveva preso un grande talento. Avevo conosciuto bene Meroni e ne avevo apprezzato le doti sia tecniche che umane. Poi successe quello che tutti sappiamo”.

Venendo invece al presente, hai mai temuto che il Toro potesse scomparire?
“Certo poteva anche finire tra i dilettanti, ma quando fu accettato il Lodo Petrucci fui sollevato, perché almeno si poteva ripartire dalla B. Bisogna sottolineare il buon gesto di Marengo e Rodda, su Giovannone ho sempre nutrito parecchie perplessità. Cairo lo conosco bene perché presso il gruppo ci lavora mio figlio Piergiorgio, il quale gli ha portato parecchi contratti pubblicitari con aziende che adesso sponsorizzano la società. Con Cairo il futuro è assicurato”.

Si dice che il presidente Cairo sia un accentratore di potere, concorda?
“Direi di no, è un pragmatico, lui conosce molto bene il mondo della comunicazione e sa prevedere gli eventi, è in grado di mettere gli uomini giusti al posto giusto. Se non ha ancora completato l’organico è perché sta cercando le persone più adatte. Credo che sarà anche abile a recuperare quanto ha speso grazie alla pubblicità e alle sue giuste intuizioni”.
 


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