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Nesti, Inghilterra caput mundi

di Marina Beccuti

Il trionfo del calcio inglese in Europa, a livello di club, è espresso dalla finale di Champions League Liverpool-Tottenham, e dalla finale di Europa League Arsenal-Chelsea: 4 squadre su 4.

Non c’è nulla di casuale, ma si tratta del frutto dei progressi economici e tecnici.

Sul piano economico, è un boom nato nel 1992, sull’asse formato da stadi di proprietà, 20 contro i 4 italiani, stadi sicuri, una media di 38.000 spettatori contro i 25.000 nostrani, merchandising, e diritti televisivi, 4 miliardi e mezzo di sterline in Inghilterra, e altri 4 per l’estero, nel periodo 2019-2022.

Sul piano tecnico, vediamo un calcio dinamico e intenso, che non ha nulla a che fare con i ritmi molto meno sostenuti del campionato italiano, e che propone in Europa squadre superdotate nella corsa.

Ma anche sul piano morale, a livello di lealtà sportiva, il soccer britannico ha tanto da insegnarci.

Nella seconda divisione inglese, durante la partita fra il Leeds, guidato dal celebre allenatore argentino Bielsa, e l’Aston Villa, è avvenuto un fatto veramente speciale fra il 72’ e il 77’.

Kodjia, dell’Aston Villa, è rimasto a terra, dopo un contrasto. I compagni di squadra hanno chiesto agli avversari di fermarsi, ma Klich, del Leeds, ha continuato a giocare, e ha segnato.

A quel punto, si è scatenato il caos, con i giocatori dell’Aston Villa disposti alla rissa, per sfogare la loro rabbia. Bielsa, clamorosamente, dalla panchina, ha ordinato ai suoi ragazzi di lasciare andare in gol gli avversari, e la partita è finita in parità.

Sono cose, forse, che possono capitare solo in Inghilterra, dove il fair play è un aspetto quasi sacro del calcio.

Anche lo sport può insegnare la rettitudine, persino sul pianeta del business, quando, per il risultato, la maggioranza è disposta a sacrificare troppi valori.

“Ma se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commesso e osserva tutte le mie leggi e agisce con giustizia e rettitudine, egli vivrà, non morirà” (Ez 18,21).

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