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Torino, niente saudade per Rubinho

di Claudio Colla

Intervistato da La Stampa, il portiere del Torino Fernando Moedim Rubinho, in prestito dal Palermo con eventuale diritto di riscatto della metà fissato per fine stagione, si racconta come brasiliano in parte (data l'appartenenza al notorio gruppo degli Atleti di Cristo, elemento ricorrente tra i calciatori carioca) atipico: "Non amo il samba, non mi piace il Carnevale di Rio, e ho poca nostalgia del Brasile. Sono piuttosto un italiano nato a San Paolo, e qui al Toro mi trovo a giocare in una squadra di Serie A, costretta al momento a militare in Serie B".

Sulla sua ascesa interrottasi e poi concretizzatasi soltanto parzialmente: "Non ho avuto fortuna dal punto di vista della tempistica: quando avrei dovuto giocare da titolare con la nazionale olimpica, nel 2004, non ci siamo qualificati, così sono rimasto nell'ombra. Fossi arrivato qualche anno prima, o qualcuno dopo, forse le cose sarebbero andate diversamente. C'è stata una generazione di fenomeni tra i pali in Brasile, gente come Julio Cesar, Dida e Doni, perché gli ex-portieri hanno iniziato ad allenare i giovani, cosa che prima facevano i terzini o gli amici degli allenatori". Interrogato poi sul suo legame con il ruolo di portiere, l'estremo granata afferma: "Sento questo ruolo dentro dall'età di tre anni e mezzo. Inoltre, quando giocavo insieme a mio fratello Zé Elias (giocatore di Inter, Bologna e Genoa a cavallo tra fine anni '90 e inizio '00, NdR), lui voleva proteggermi, e mi diceva: tu rimani in porta, le botte vado a prendermele io".

Sottoposto poi al gioco della torre, l'estremo granata si toglie qualche sassolino dalla scarpa: "Tra Chievo e Palermo? Decisamente il Chievo, dato che, dopo aver avuto il mio assenso al trasferimento, a giugno sono spariti. Tra Doni e Sirigu? Sicuramente Doni, che mi ha sempre creato problemi. Tra Gasperini e Zenga? Zenga, dato che non mi ha mai insegnato nulla. Gasperini invece mi ha dato tanto".


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