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Al Torino manca grinta, determinazione e senso d’appartenenza: così uscire dalla crisi diventa difficile

di Elena Rossin
Fonte: Elena Rossin
Immagine di repertorio

Perdere un derby può capitare, ma farlo senza di fatto neppure tirare in porta vuole dire solo due cose: non sentire la partita ed essere mediocri. Ed è questo che è capitato sabato sera al Torino con la Juventus che senza fatica ha vinto due a zero. Non ci sono alibi per una prestazione che è stata sotto il minimo sindacale perché fin dall’approccio iniziale i granata si sono rintanati nella propria metà campo segno evidente che avevano paura e così hanno adottato la tattica del difendiamoci. Peccato che quando hai di fronte un avversario che tecnicamente è più forte di solito questa tattica non funziona e così infatti è stato. Nessuno dice che se il Torino avesse attaccato a testa bassa non avrebbe comunque perso, anzi forse il passivo dei gol subiti sarebbe stato anche superiore, ma almeno avrebbe provato a giocarsela.

Il derby era la partita ideale per cercare il riscatto visto che il Torino nelle precedenti sei partite in campionato ne aveva perse cinque alle quali si aggiungeva un’altra in Coppa Italia con tanto di eliminazione ai sedicesimi e che nelle ultime due non aveva segnato uno straccio di gol. E invece neppure l’ombra del riscatto. Grinta? Neanche a parlarne, al più un po’ di nervosismo che è scattato in occasione di qualche fallo, su tutti fra Gatti e Milinkovic-Savic, e qualche scintilla scoppiata nel finale fra Sanabria e Kalulu. Determinazione? Inesistente altrimenti la squadra sarebbe scesa in campo provando ad attaccare e non a difendersi e poi dopo il primo gol subito, era il 18esimo, avrebbe provato a reagire e invece non è successo. Anche la scusa degli infortuni di Zapata e Adams non regge perché anche questo avrebbe dovuto essere di stimolo in modo da essere più forti anche delle avversità dimostrando che la mala sorte non piega chi è del Toro.

La cosa più grave è la mancanza del senso di appartenenza. I giocatori avrebbero dovuto sapere quanto ci tengono al derby e non ultimo visto che nei diciannove anni di presidenza chi gli paga lo stipendio un solo derby è stato vinto e altri sei sono stati pareggiati provare almeno a non perdere sarebbe stato doveroso, ma neppure queste evidentemente sono state motivazioni. A ben pensarci non stupisce perché la squadra è formata quasi esclusivamente da stranieri, 20 su 24, che formano gruppetti all’interno dello spogliatoio e poi i giocatori presi singolarmente pensano più ognuno al proprio orticello, anche perché si sentono di passaggio in quanto il Torino è un’occasione per provare a mettersi in mostra per poi andare altrove, cosa che evidentemente non sanno fare bene, il mettersi in mostra, altrimenti darebbero il cento per cento e invece sono apparsi molli a prescindere dal loro valore tecnico. In Italia le squadre sono zeppe di stranieri però se questi calciatori si trovano in club che hanno ambizioni e sono attrezzati per raggiungere obiettivi di alta classifica il peso si fa sentire meno, ma se sono in squadre che puntano a galleggiare o a salvarsi avere uno zoccolo duro di italiani aiuta.  Conseguenza dell’avere tanti stranieri è la babele di lingue e troppo spesso, come si vede nelle interviste, buona parte degli stranieri, alle volte persino chi è in Italia da tempo, parla e comprende poco l’italiano per cui anche durante gli allenamenti o i discorsi fatti da allenatore e dirigenti magari non tutti comprendono appieno il significato.

Sulla mancanza del senso d’appartenenza da parte dei giocatori la società ha le sue responsabilità. Poco alla volta sono stati mandati via o non presi dirigenti di comprovata fede granata. La squadra non viene mai portata al Museo del Toro, solo una volta anni fa lo visitò il 21 ottobre 2011 e da allora mai più giocatori della prima squadra hanno messo i loro piedi nell’unico luogo, andare a Superga e alla lapide il 4 maggio evidentemente è percepito come una commemorazione di una tragedia accaduta nel passato, che potrebbe far capire loro cos’è il Toro, ma forse far visitare il Museo alla prima squadra, le giovanili di tanto in tanto vengono portate, è ritenuta una cosa inutile basta pensare che la società finora non si è mai prodigata per agevolare la costruzione del Museo al Filadelfia in modo che si possa trasferire dall’attuale sede di Villa Claretta Assandri in via G. B. La Salle 87 a Grugliasco, comune in provincia di Torino. E sarebbe interessante poter chiedere a ogni singolo giocatore se sa dell’esistenza del Museo del Toro e sentire cosa risponde.   

L’allenatore Vanoli cosa può fare per invertire la rotta? Difficile dirlo, al momento però sembra non più di tanto visto che sono settimane che cerca di trovare una quadra senza ottenere i risultati sperati. Ma non ha colpe. Pubblicamente difende la squadra dicendo sempre che in campo i giocatori a livello tattico interpretano bene la partita e danno tutto quello che hanno, rischiando anche di subire non poche critiche, e li sprona chiedendo lucidità, passione, coraggio e cuore caldo e al più dice che certi gol non possono essere presi e che serve maggiore furore nell’andare a prendere la palla e nel ricercare soluzioni offensive. Poi all’interno dello spogliatoio alza la voce e utilizza toni molto più forti richiamando i giocatori alle proprie responsabilità, chi in estate è andato a Pinzolo durante il ritiro ricorderà perfettamente quanto durante gli allenamenti urlava il mister e non mancava anche di sottolineare gli errori che commettevano i giocatori.

Ora c’è la sosta per gli impegni delle Nazionali e domenica 24 alle ore 15 il Torino affronterà davanti al proprio pubblico il Monza ultimo in classifica insieme al Venezia e che ha 6 punti in meno, poi la domenica successiva, l’1 dicembre sempre alle ore 15 e sempre in casa, il Napoli primo in classifica e che ha 12 punti in più e a seguire due gare in trasferta con Genoa (sabato 7/12 ore 15) ed Empoli (venerdì 13/12 ore 20,45). Quattro partite importanti e tre delle quali con squadre alla portata e i giocatori granata dovranno dimostrare grinta e determinazione sfoderando prestazioni di buon livello e conquistando punti in modo da non far pensare che non abbiano senso d’appartenenza o almeno che abbiano un po’ di amor proprio.