Annoni: "Al Toro la svolta se si pianifica per bene"
Fonte: Tuttomercatoweb.com
Abbiamo intervistato in esclusiva Enrico Annoni, difensore del Torino dal 1990 al ’94, e con lui analizzato l’attuale situazione della squadra granata. Per tornare in A subito ci vogliono giocatori che fanno la differenza, se si punta sui giovani i tempi si allungano. E’ più facile giocare nel Toro che da altre parti. E’ una questione generazionale non fare sacrifici per ottenere comunque i risultati. Nel Toro di Annoni costituivano tutti un gruppo compresi il presidente e l’allenatore.
Toro al terzo anno consecutivo in B, al peggio sembra non esserci mai fine. Ci sono possibilità che finalmente la prossima sia la stagione della svolta?
“Le possibilità ci sono, se si pianifica tutto per bene. In un anno si può fare, ma bisogna prendere giocatori di serie A o comunque che possano fare la differenza. Altrimenti devi prendere gente giovane e creare un gruppo, facendo un programma su due anni per venire in A. Non basta chiamarti Toro per avere il permesso per venire in A, per lo meno le altre squadre non ti fanno nessuno sconto e lo abbiamo visto in questi ultimi due anni”.
Negli ultimi anni giocatori più o meno di livello sono venuti al Torino dopo aver disputato buoni campionati e non sono riusciti a ripetersi. E’ così difficile essere un calciatore del Toro?
“Penso che sia più facile giocare nel Toro che da altre parti. Le caratteristiche che ci vogliono per essere un giocatore del Toro sono primo la grinta, secondo il sacrificio e terzo essere anche bravo tecnicamente, però se hai già le prime due componenti puoi essere un giocatore del Toro, ovviamente io parlo per la mia esperienza”.
A lei è sempre stata riconosciuta la grinta da Toro, mentre l’accusa più ricorrente nei confronti dei giocatori granata è stata di essere privi di personalità. E’ un problema generazionale o sono stati scelti giocatori non adatti?
“Forse il problema è generazionale, perché vedo - ad esempio con mia figlia che ha vent’anni - che i ragazzi ragionano diversamente da come facevamo noi, a loro quasi sempre è tutto dovuto e non hanno la voglia di stare a fare dei sacrifici per arrivare a un traguardo perché, comunque bene o male, l’ottengono per altre vie; di conseguenza penso che sia un problema generazionale”.
Nelle sue stagioni al Toro un 5°, 3°, 9° e 8° posto in A e una Coppa Italia. I tifosi oggi farebbero la firma per avere una squadra che si esprimesse a quei livelli. Qual era il segreto di quel Torino?
“Eravamo un gruppo compresi il presidente e l’allenatore. Detto in due parole eravamo quasi tutti “figli di buona donna” in campo (ride, ndr), di conseguenza - per parlare con parole spicce - quello ci portava la domenica a lottare tutti per una causa e a remare tutti dalla stessa parte, mentre a chi ci vedeva durante gli allenamenti sembravamo una squadra dove ognuno lavorava per conto proprio”.