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Basta parlare di paura e fragilità: sta diventando un alibi per il Torino

di Elena Rossin
Fonte: Elena Rossin

Nel calcio quando una squadra non ottiene i risultati obiettivamente auspicati si parla di paure e fragilità. Ma paura di cosa? Di fare il proprio lavoro? Di assumersi le responsabilità? In nessun altro campo lavorativo si utilizzano questo tipo di giustificazioni perché se si sbaglia e lo si fa reiteratamente si viene licenziati o comunque spostati a svolgere altre mansioni. E allora forse per dare una scossa al Torino bisognerebbe iniziare a non lasciargli più alibi dietro i quali nascondersi. Le 6 rimonte e i 22 gol subiti in 9 partite sono frutto di errori individuali che non sono stati contrastati dai compagni che avrebbero dovuto accorgersene e intervenire prontamente, certo non sempre si può farlo, ma visto il numero elevato di casi qualche volta si sarebbe potuto.

I giocatori sono tutti dei professionisti per cui, a prescindere che siano convinti o meno del gioco che propone l’allenatore, devono andare in campo e dare il massimo prestando la dovuta attenzione senza i famosi cali di concentrazione. Altro alibi privo di senso perché si ripete con una costante incredibile, qualche volta può succedere, ma è mai possibile che accada così spesso ai granata? Basta parlare di paura e fragilità qui è questione di impegno e qualità. Se Belotti e qualche altro si fanno il mazzo possono farlo anche tutti gli altri. 

Il tempo ormai è diventato un lusso che nessuno si può più permettere al Torino: né i giocatori, né mister Giampaolo e il suo staff. La classifica è allarmante stante il terzultimo posto e i soli sei punti per cui senza guardare in faccia nessuno vanno presi provvedimenti e trovate soluzioni immediatamente. Qualsiasi decisione va presa pensando solo a ottenere risultati positivi in campo. Chi sbaglia ripetutamente sta fuori e se anche chi ne prende il posto commette gli stessi errori o ne fa anche di peggiori allora alla riapertura del mercato a gennaio la società dovrà prendere giocatori più adatti e che vogliano impegnarsi per evitare che il Torino finisca in Serie B, una rivoluzione un po’ come avvenne con quella dei “peones” messa in atto dall’allora direttore sportivo Petrachi.


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