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Dov’è finita la grinta Toro? Le vittorie si ottengono anche con il carattere

di Elena Rossin
Fonte: Elena Rossin per TorinoGranata.it

Senza scomodare il tremendismo granata perché sarebbe irrispettoso nei confronti del Grande Torino, di Meroni, di Ferrini, del Torino del 1975-76 che vinse l’ultimo scudetto e di quello del 1992-93 che vinse l’ultima Coppa Italia e anche di tanti altri giocatori, allenatori e dirigenti che hanno contribuito a scrivere la Storia granata, quella con la S maiuscola, però almeno una certa dose di determinazione e di sana voglia di prevalere sugli avversari sembra essersi molto affievolita, ormai da parecchio tempo, nel Torino. I risultati lo dimostrano senza ombra di dubbio: trentasette anni dall’ultimo scudetto, vent’anni dall’ultima Coppa Italia conquistata, nell’era dei tre punti a partita (dalla stagione 1994-1995) dieci campionati disputati in serie B su venti, bisogna risalire al campionato 1993-1994 per trovare il Torino piazzato fra le prime dieci squadre della serie A (8°) e sempre in quella stagione per trovare nella massima divisione il segno più nella differenza reti (+2), l’ultimo derby vinto è stato il 25 gennaio 1995 e l’ultimo pareggiato il 26 febbraio 2008 e l’ultimo gol rifilato alla Juventus è stato messo a segno il 24 febbraio 2002.

 

I numeri non mentono mai, quindi è lecito che i tifosi si domandino dov’è finita la grinta? Grinta che era diventata la bandiera e aveva contraddistinto il Torino da tutte le altre squadre per il carattere caparbio che permetteva ai giocatori granata, anche quando affrontavano formazioni più forti, di vincere o almeno di uscire dal campo a testa alta per aver venduto a caro prezzo la pelle. Di quella grinta se ne sono praticamente perse le tracce. Quest’affermazione dà fastidio a Ventura e anche alla dirigenza e ai giocatori, ma partite come quelle disputate a Livorno o a Cagliari, per stare alle ultime ed evitare di affondare il dito nella piaga, sono sotto gli occhi di tutti e anche il tifoso più distratto e generoso nei giudizi sa che con un po’ più di determinazione potevano essere vinte e invece hanno portato un solo punto.

 

Da quando il Torino è stato riportato lo scorso campionato in serie A da Ventura ha collezionato dieci vittorie, ventidue pareggi e diciotto sconfitte mettendo a segno sessantaquattro gol e incassandone settantasei in cinquanta partite giocate. Non sono numeri particolarmente confortanti e indicano che la squadra si barcamena nella massima divisione grazie anche al fatto che ci sono altre che fanno peggio, ma che per aspirare a posizioni di classifica che vadano oltre la linea di galleggiamento il lavoro da compiere è tanto e deve cambiare la mentalità con la quale i giocatori scendono in campo. Sia ben chiaro la responsabilità di partite mediocri non è attribuibile solo ai giocatori, allenatore e dirigenti non sono esenti e per tutti non valgono gli alibi dei torti arbitrali e degli infortuni. Il Torino da quando è allenato da Ventura ha fatto del possesso palla una delle sue caratteristiche e questo di per sé è positivo, ma se poi avere il pallone e anche creare occasioni da gol non si traduce in reti effettivamente segnate si finisce per essere costruttori di gioco sterile o nella migliore delle ipotesi poco proficuo. Attendere che l’avversario faccia la prima mossa per poi provare a colpirlo in contropiede qualche volte paga, ma spesso finisce per essere un atteggiamento votato all’accontentarsi che insegue più il pareggio della vittoria. E’ vero che verticalizzare e pressare gli avversari fa correre il rischio di scoprirsi e di essere infilati, ma con i tre punti a vittoria il pareggio di fatto risulta una mezza sconfitta e allora tanto vale correre qualche rischio e provare a conquistarli i tre punti, soprattutto se la squadra avversaria è alla portata.
I giocatori del Torino non sono delle mammolette come in alcune circostanze è sembrato, tirino fuori un po’ di grinta e abbiano il coraggio di osare anche nel chiedere al proprio allenatore di correre qualche rischio in più, sicuramente saranno premiati con un numero maggiore di vittorie così da stracciare dal Torino l’etichetta d’incompiuto, lo stesso Ventura ripete sempre: “Se si vuole si può”. Allora che si voglia, altrimenti, prima o poi, sorgerà il sospetto che non si vuole e chi non vuole il bene del Toro non merita lo status di granata.


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