.

Esclusiva TG - Giacomo Ferri: "Ho giocato contro Cruyff, era imprendibile"

di Alex Bembi

«In un certo senso, forse, sono immortale», dichiarò una volta Johan Cruyff. Qualunque appassionato di calcio, di qualsiasi generazione, sa che quella frase ha una parola di troppo: “forse”. Perché Hendrik Johannes Cruiyff da Amsterdam non ha solo incantato con il suo talento di giocatore e vinto con il suo carisma da allenatore, ma ha cambiato lo sport più bello del mondo per sempre. Impresso a fuoco nella memoria di chi lo ha visto dal vivo, quel nuovo modo di concepire il calcio, correndo anche senza la palla, ricoprendo più ruoli: il famoso calcio totale. Per fortuna era già l’epoca delle immagini televisive e la magia dell’Ajax e dell’Olanda da lui capitanate è catturata per sempre. Tutti coloro che sono venuti dopo e che verranno, potranno ammirare ancora il 14 che vola per il campo verde, rapido, tecnico, potente, immenso. Per sempre. Tre volte per sempre… in un certo senso è davvero immortale.

In queste poche ore trascorse dalla sua scomparsa sono state scritte tantissime cose: i media hanno ripercorso la sua carriera, gli esordi, i trionfi ottenuti e quelli ancor più storici solo sfiorati. Fiumi d’inchiostro per descrivere chi era, cosa aveva creato e come. Non c’è più molto da romanzare per essere originali parlando di Johan Cruyff, così ho voluto affidarmi alle parole di qualcuno che, seppur solo in una amichevole di fine campionato, ha incrociato gli scarpini con la leggenda. A margine della gara disputata dal Toro contro il Grugliasco, formazione locale che disputa il campionato di Promozione, e grazie alla disponibilità del Torino Fc, ho potuto incontrare il Team Manager Giacomo Ferri, che per 46’ provò a marcare Cruyff durante la famosa amichevole disputata dal Feyenoord nel capoluogo piemontese il 29 maggio 1984. Il suo ricordo del campione olandese non si discosta molto dalla descrizione di sopra, anzi è persin più lusinghiero.

Giacomo, la data 29 maggio 1984 ti dice qualcosa?

“Ricordo benissimo quel giorno e quella partita particolare. Però permettimi prima di ogni cosa di fare le condoglianze alla famiglia di uno dei giocatori più forti mai esistiti: la loro e quella di tutti noi è una perdita incredibile. Tornando alla domanda su quell’amichevole, non solo io, ma tutti i miei compagni di allora la ricordiamo perfettamente. Anche se arrivava a fine carriera, ci trovammo di fronte ad un giocatore che aveva inventato il calcio moderno, una delle icone mondiali di questo sport. Credo che, insieme a Maradona, sia il più forte in assoluto. Con quel 14 sulle spalle, quando ancora le maglie dei titolari andavano dall’1 all’11, ha inventato il calcio che vediamo tutt’ora giocare”.

Hai citato Maradona, un altro mostro sacro del Football. Hai affrontato entrambi nella tua carriera, che differenze hai notato nel marcare l’olandese e il Pibe de oro?

“Lui e Diego avevano caratteristiche diverse, ma si parla di due extraterrestri. Durante la gara col Feyenoord avevo in consegna Cruyff, ma era imprendibile. Pensa che in quell’occasione giocò nonostante uno stiramento alla coscia e aveva 37 anni, 12 in più di me. Continuavo a chiedermi quanto ancor più forte poteva essere qualche anno prima, nel pieno della maturità calcistica”.

Gli hai dato un po’ di botte o sei stato bravo, visto che era una delle sue partite d’addio?

“Non sono mai riuscito a prenderlo. Aveva una velocità impressionante e ripeto giocava infortunato. Sembrava un giocatore moderno, con la muscolatura esplosiva e una tecnica paurosa. Lui era fantastico in tutto: una corsa incredibile, bravo in acrobazia, tecnico, la forza fisica e la rapidità. Con quelle doti, faceva la differenza anche a fine carriera. Come giocatore, non avrebbe sfigurato negli anni 2000, parlando di caratteristiche fisiche. Se parliamo di quelle tecniche, andava ben oltre l’immaginazione. Spesso e volentieri, nei viaggi in pullman con i compagni guardavamo i filmati delle sue partite”.

Secondo te quindi il soprannome affibbiatogli dal maestro Gianni Brera di “Pelè bianco” era azzeccato?

“Al contrario di Cruyff, non ho mai visto dal vivo Pelè, ma da quanto ho potuto vedere nei filmati d’epoca l’accostamento ci sta tutto”.

Quel giorno lì, anche se eravate tutti giocatori affermati, avete provato un po’ di emozione nell’incontrare un campione del suo calibro?

“Assolutamente sì. Eravamo tutti professionisti, ma giocare contro un mostro sacro come Cruyff non era una cosa di tutti i giorni. Di quella gara e di quel campione ne abbiamo parlato per mesi successivamente. Io avrei voluto scambiare la maglietta con lui, ma avevo quasi timore di avvicinare un giocatore del genere: ero in soggezione. Credo che anche per il pubblico sia valsa la pena pagare il biglietto, per assistere allo spettacolo che sapeva offrirti un solo giocatore.

Un ultimo pensiero per il 14 per eccellenza?

“Credo che rimarrà per sempre nei ricordi di chi ha fatto calcio e non. Perché chi ha avuto la fortuna di conoscerlo parla di una persona di grande spessore, anche fuori dal campo. Di Cruyff, come giocatore, allenatore e persona, si parlerà finché esisterà il gioco del calcio”.

In un certo senso, sicuramente, è immortale.

Alex Bembi


Altre notizie
PUBBLICITÀ