I tifosi del Toro esistono ancora eccome, ma sono stati allontanati dal loro fulcro
Fonte: Elena Rossin
Domenica pomeriggio lo stadio Grande Torino Olimpico assomigliava più al Maradona, infatti già arrivandoci s’incontravamo tantissime persone che indossavano maglie, sciarpe e cappellini azzurri e parlavano con il tipico accento napoletano, arrivati all’interno poi non si poteva non notare che a parte la Curva Maratona tutta granata e metà della Primavera nel resto dello stadio si vedevano sono macchie granata. Prima, durante e dopo la partita i cori inneggianti al Napoli si sono più e più volte alzati dalle gradinate assordanti, nitidi e gioiosi riempiendo l’aria, mentre quelli granata non sono mancati però è innegabile che erano meno potenti. Segno questo evidente che dei 26.058 spettatori ve ne erano più del Napoli che del Torino. Non si può dire che la cosa non facesse un grande effetto e che su questo non si debba riflettere.
Ieri su Tuttosport il collega Andrea Pavan, che ha il cuore granata come chi scrive, ha scritto un lucido, puntuale e improntato ad assoluta verità editoriale che iniziava in prima pagina con il titolo “Urbano, Aurelio e le ambizioni” e che poi proseguiva alla dodici con un secondo titolo “Cairo, quando lei stava in B Napoli era in C: parliamone”. Eloquenti già i due titoli sugli argomenti che sono stati sviscerati. Non è questione che il Torino abbia perso 4 a 0, vista la forza del Napoli in questa stagione. E’ stato ricordato che da quando Cairo è il proprietario del Torino, 2 settembre 2005, gli insuccessi, più d’uno anche pesanti, o se si vuole i mancati successi si sono susseguiti. E poi è stato sottolineato quanto fatto per le rispettive squadre e società calcistiche dal presidente del Torino Fc e da quello del Ssc Napoli Aurelio De Laurentiis, che il 6 settembre 2004 rilevò il club fallito e retrocesso in Serie C1. Il paragone fra i due inchioda quello granata e ne evidenzia le differenti ambizioni basandosi sui fatti. Per arrivare alla questione dei tifosi del Toro con l’orgoglio e la passione granata che da Cairo sono stati prosciugati, a differenza di De Laurentiis che ha invece coltivato quelli della piazza partenopea.
I tifosi del Toro esistono ancora eccome, per fortuna. Ma sono stati allontanati. E’ come se la struttura a doppia elica del DNA fosse stata tagliata a pezzettini che poi sono andati a posizionarsi distanti gli uni dagli altri. Esistono quindi, ma non sono più aggregati a formare un unico corpo. C’è Cairo con il suo Torino, c’è chi in nome della paura di un nuovo fallimento e la possibile sparizione ha accettato il vivere nel limbo dei non successi, c’è chi va ancora allo stadio e contesta e chi ci va e gioisce per qualche bella giocata o partita vinta, ma allo stesso tempo si rode il fegato quando vede prestazioni che definire deludenti è un eufemismo o inorridito assiste a giocate che non sarebbero ammissibili neppure nelle giovanili. E poi ci sono gli altri quelli che allo stadio non ci vanno più e sperano che arrivi qualcuno che rilevi il club, sempre che Cairo lo venda, e che restituisca l’orgoglio e la passione granata. Il problema è che a lungo andare se i tifosi restano lontani diminuiranno sempre più, il ricambio generazionale sarà sempre più esiguo e allora sì che il Toro diventerà sempre più piccolo e rischierà di scomparire. Non è di certo colpa dei tifosi, ovviamente. Però è indubbio che l’allontanamento debba essere interrotto e la doppia elica del DNA riformata riportando orgoglio e passione dentro e attorno al Toro.
Mister Juric ci sta provando, ma da solo non può riuscirci. Anche i tifosi più di tanto non possono fare a meno che non ne arrivi uno così potente e ricco che possa convincere Cairo a vendere. Sul fatto che possa essere Cairo a cambiate rotta e a trasformarsi nel De Laurentiis che ha portato in alto il Napoli sinceramente ci sono fortissimi dubbi, lui però con i fatti può sempre spazzarli via.
Ecco riportato l’editoriale scritto da Andrea Pavan ieri su Tuttosport: “Il problema non è che il Torino abbia perso con il Napoli. Il Napoli, questo Napoli, batte in Italia tutte le squadre della Serie A e in Europa tutte quelle della Champions, che a giugno potrebbe anche andare a conquistare. Né che il Torino abbia preso ieri quattro pappine, le stesse che – per dire – aveva beccato pure il Liverpool. Il problema è che il Torino negli ultimi 11 campionati - cioè da quando è salito dalla B dove con Cairo proprietario, presidente e factotum era retrocesso e rimasto a languire per tre penose stagioni, quelle che nei suoi consuntivi di salvezze e decimi posti l’editore di Masio si dimentica sempre di citare – su 22 confronti col Napoli ne abbia persi 16, pareggiati 5 e vinto uno, nell’anno di quasi grazia 2015, quello di Bilbao (sedicesimi di Europa League, eh, non finale di Champions) e dell’unico derby concesso da una Juve già campione d’Italia e con la testa altrove. Il problema è che in queste 22 sfide abbia subito 47 gol (oltre 2 a partita), segnandone appena 18 (manco uno a partita) e subendo alcune tra le scoppole più umilianti della sua storia recente pur di umiliazioni ricca. Ma il vero problema, quello per cui più di ogni altro Cairo e i suoi sodali dovrebbero riflettere e magari un poco vergognarsi, è dove stava il Napoli quando Cairo rilevò praticamente gratis il Torino fallito. In Serie C, stava. Lì lo prese De Laurentiis. Era un club allo sbando, più del Torino. Ora, per favore, non parliamo di bacini d’utenza: perché il Torino, quando era Toro, non aveva meno tifosi del Napoli; e poi perché, al netto dei cali generalizzati di presenze negli stadi e dei disastri da Covid, il numero, la passione e la partecipazione dei tifosi conseguono da quanto una società semina e una squadra raccoglie, non sono un angelo caduto dal cielo; tanto che negli anni difficili la pressione della tifoseria partenopea a molti sembrava più una zavorra che un volano. Non parliamo di ricchezza della città, perché Napoli rispetto a Torino non è certo il paese della cuccagna. Non parliamo di eredità del passato: perché il Torino storicamente non è mai stato in media inferiore al Napoli; e quando lo è stato, per dire negli anni di Maradona, al Napoli faceva trovare sempre lungo, a volte lo batteva. E poi perché entrambe quell’eredità l’avevano dissipata, ripartendo da zero. Anzi, il Napoli un gradino sotto lo zero. Solo che il Napoli ha trovato De Laurentiis, il Torino ha trovato Cairo. De Laurentiis è ricco, certo, ma non è Agnelli o Moratti o Berlusconi; e Cairo non è un imprenditorino di provincia, un garzone di bottega. Però De Laurentiis è ambizioso anche calcisticamente, non solo per vendere film e affini; Cairo è ambizioso per vendere giornali e pubblicità, e basta. De Laurentiis ha costruito una società forte e organizzata, con dirigenti competenti nei ruoli chiave, Cairo no. De Laurentiis l’orgoglio e la passione della piazza li ha coltivati, con mosse di mercato anche coraggiose e prese di posizione magari discutibili ma roboanti, trascinanti per i tifosi e il loro senso di appartenenza, che percepiscono condiviso; Cairo l’orgoglio e la passione granata li ha prosciugati. Non c’è più un tifoso che lo ami, che gli creda, che si tratti del grottesco Robaldo o dell’acquisizione dello stadio, dove pure qualche parola la sta spendendo; del museo o del Filadelfia, delle prospettive altalenanti e modeste della prima squadra o del peregrinare mortificante della Primavera. Al massimo c’è chi lo sopporta e se ne fa una mesta ragione in base alla filosofia del meno peggio. Intanto da ieri, in uno stadio che si chiama Grande Torino ma pareva il Maradona (parliamo anche di questo, magari), la squadra di Juric - che non a caso sta pensando di levare le tende, ma non quelle del Fila – è undicesima. Nemmeno nella parte sinistra della classifica, che torna a essere obiettivo allettante per Cairo, da linguetta dell’acquolina. Del resto è il suo mantra, il 10° posto”.