L'Italia si ferma, anche il calcio. Ma le regole devono essere uguali per tutti
Si fa un gran vociare in questi giorni dello stop al calcio che potrebbe anche essere definitivo per la stagione in corso, a meno di situazioni clamorose che risiedono in un'improbabile netta inversione di rotta del problema del Coronavirus. L'argomento principale è quello degli emolumenti che le società pagano ai rispettivi calciatori, i primi a chiedere la sospensione per la condivisibile paura del contagio. D'altra parte le regole sono uguali per tutti, ma dev'essere così in ogni ambito, perché se i lavoratori normali entrano in cassa integrazione con le partite IVA che potranno contare di un buono di seicento euro mensili, è giusto che anche gli stessi calciatori rinuncino agli emolumenti per il periodo in cui non scendono in campo e neppure si allenino, visto che a riempirsi la bocca di buoni propositi sono capaci tutti ma poi non si traducono mai in situazioni concrete. Le varie società sono in forte difficoltà, sarebbe corretto un intervento dello Stato a tutela di esse (come di tutte quelle nel Belpaese che non hanno a che fare con lo sport, d'altronde), ma non per permettere di pagare i calciatori, che nonostante le fughe un po' troppo permissive a cui abbiamo assistito in questi giorni, non sono al di sopra di nessuno.