L’anno di Belotti: il Torino e la Nazionale
Fonte: Elena Rossin
A ventiquattro anni con vista sui venticinque, il prossimo venti dicembre, si può dire che Andrea Belotti come calciatore e come uomo entra a tutti gli effetti nella fase della vita di piena maturità. Professionalmente parlando non è più possibile considerarlo un giovane di belle speranze del calcio nostrano perché è giunto per lui il momento di entrare nel novero dei campioni oppure di restare un onesto, magari anche qualche cosa di più, attaccante. Dall’estate del 2015 quando è approdato al Torino di passi in avanti ne ha fatti tanti divenendo il top player granata e entrando a far parte del gruppo della Nazionale, ma nella scorsa stagione, complici anche due infortuni, non è riuscito a spiccare il volo. Adesso dopo un pre-campionato molto positivo per aver subito raggiunto uno stato di forma fisica molto buono e aver segnato a ripetizione è chiamato, anche perché è il capitano, a trascinare il Toro come fa con il gruppo durante gli allenamenti.
L’importanza di questa stagione per il “Gallo” è sotto gli occhi di tutti e per questo dovrà prima di tutto sfidare se stesso per capire se ha l’adeguata personalità per diventare un campione. Sa fare gol tirando con entrambi i piedi, colpendo di testa e questo è risaputo poiché lo ha ampiamente dimostrato, ma deve migliorare nel battere i rigori, suo tallone d’Achille, e qui si entra nella sfera della capacità di dominare la tensione e di conseguenza della personalità. Finora, dopo il periodo di apprendistato venturiano, nel Torino il primo attaccante è stato sempre lui sia con Ventura, sia con Mihajlovic e sia con Mazzarri e ha di conseguenza avuto sempre assicurata una maglia da titolare meritata a suon di gol senza ombra di dubbio, ma anche perché nessun compagno ne ha messo in discussione la leadership e la società inserendo nel suo contratto la famosa clausola da cento milioni valida per l’estero e di fatto anche per l’Italia lo ha blindato da una parte e reso il numero uno granata dall’altra. Adesso, però, è arrivato Zaza che ha un curriculum non inferiore al suo, anzi superiore per l’esperienza comunque maturata all’estero, prima al West Ham e poi al Valencia, seppur tra alti e bassi.
Zaza è stato preso dal Torino per fare coppia con Belotti nel 3-5-2, ma se entro il trentuno agosto non saranno ceduti uno o più compagni di reparto, in possibile uscita ci sono Niang, Ljajic e Falque, Mazzarri dovrà, gioco o forza, far ruotare i migliori e, quindi, anche adottare un altro modulo. La competizione sarà maggiore e per il bene del Torino non ci potranno essere attaccanti che hanno la certezza del posto fisso in campo: chi sta bene fisicamente e rende di più gioca e gli altri si accomodano in panchina. Belotti, quindi, potrebbe dover lottare anche lui per una maglia. In più dovrà integrarsi con un compagno di reparto come Zaza, che sicuramente non è approdato al Torino per fare la spalla a qualcuno ma per diventare un protagonista. Finche c’erano solo Falque e Ljajic il rischio che uno dei due pestasse i piedi a Belotti praticamente non c’era perché agivano tutti e tre sul fronte d’attacco, ma in spazi differenti. Con Zaza, invece, il discorso è differente perché anche l’ex Valencia è una punta centrale e quando farà coppia con Belotti i due dovranno cercare di non ostacolarsi a vicenda oltre a evitare di entrare in conflitto per segnare uno più dell’altro, un po’ di sana competizione fa bene purché non diventi dualismo e a farne le spese sia il Toro. Belotti per diventare un campione deve anche saper gestire situazioni dove non è più l’unica stella del firmamento e questo sotto tutti i punti di vista è l’anno cruciale, anche perché se farà bene nel Torino ha molte più possibilità di diventare un punto fermo e non solo di essere uno degli attaccanti della Nazionale.