Pobega: “Quando gioco per me é obbligatorio vincere: non posso tornare a casa con una sconfitta”
Fonte: Torino Channel
A tu per tu con Tommaso Pobega per scoprirlo a 360° gradi dall’infanzia a oggi. I primi ricordi con il pallone quando a cinque anni il papà portò Tommaso a una suola calcio e chi se ne intende ha compreso che il bambino aveva delle qualità così parte la lunga intervista, fatta da Torino Channel, al centrocampista del Torino che ha risposto così: “Si me lo ricordo e lo fa sempre quando lo rivedo anche il mio primo allenatore, Nicola, fu parecchio divertente”
Allora il calcio era un semplice gioco?
“Sì, sicuramente. Era un ritrovarsi con gli amici, divertirsi, ma comunque una competizione fin da quando ero piccolo piccolo”.
Allora lei giocava con i vicini di casa e con i compagni di classe?
“Sì, ma anche con gli amici di mio fratello che erano più grandi. E se anche era la partita al campetto o all’oratorio per me era obbligatorio vincere, non potevo tornare a casa con una sconfitta. Era sempre un qualche cosa in più di un semplice gioco”.
Si racconti, dove è cresciuto?
“Fino a 14 anni a Trieste e a livello calcistico i primi anni li ho fatti nella squadra del mio quartiere, San Luigi, e poi sono passato alla Triestina e quando è fallita sono andato al Trieste calcio. All’età di 14 anni sono stato preso dal Milan, quando i ragazzi fuori regione potevano essere presi in convitto, e fino alla Primavera ai 19 anni sono stato a Milano. In seguito ho iniziato a girovagare e ogni anno cambio città e regione. E’ un po’ l avita che abbiamo scelto”.
Tornando indietro, come si chiamava il suo migliore amico?
“Ne ho avuti diversi. Durante l’infanzia probabilmente Massimiliano, poi ho avuto Lorenzo, dopo Riccardo che è venuto con me a Milano che da Trieste è venuto a fare le giovanili e adesso posso dire Fabio e Frank che gioca in Serie B”.
La sua sembra un’infanzia serena e con la famiglia sempre vicina, che rapporto ha?
“Un bellissimo rapporto e quando posso cerco sempre di tornare a casa e loro se riescono cercano sempre di venirmi a trovare e fermi sentire bene. Soprattutto i primi anni quando sono andato via da casa ed ero piccolo e le cose con il calcio non andavano così tanto bene e loro erano sempre presenti e magari cercavano in giornata di venire da Trieste a Milano e anche se il viaggio non era corto pur di farmi stare bene lo facevano. E’ un bellissimo rapporto”.
Mamma Elena e papà Giorgio di cosa si occupano?
“Mio papà lavora in un’azienda elettrica e mia mamma fa l’impiegata. Mio papà mi ha trasmesso anche un po’ la passione per il calcio perché lui giocava a calcio, mentre mia mamma ha spinto un po’ più per lo studio e se volevo continuare a giocare era fondamentale lo studio, anche quando sono andato a Milano non c’era cosa che teneva e dovevo continuare ad andare bene e interessarmi ad andare bene. La stessa “politica” l’hanno tenuta anche con mio fratello che ha sempre giocato a basket e lo fa tuttora, ma la carriera accademica e scolastica è sempre stata messa in primis e questo è un po’ quello che andrebbe sempre fatto perché è giusto coltivare i sogni e fare sacrifici però le due cose si possono conciliare. Non è impossibile se uno ha vero interesse lo fa. Mi hanno insegnato i valori di portare sempre rispetto, impegno e determinazione in quello che faccio. Ogni cosa va fatta sen e se no non ha senso farla e fondamentalmente l’educazione è la cosa più importante. Ho sempre detto che si può essere un bravissimo giocatore di calcio, un bravissimo lavoratore, ma se si è una persona maleducata si verrà sempre ricordati come un maleducato”.
Dicono che abbia una forza di volontà incredibile, chi gliel’ha trasmessa?
“Non lo so, forse il fatto che fin da piccolo giocavo con papà e mio fratello ed essendo loro più grandi per restare al passo o facevo qualche cosa oppure soccombevo (ride, ndr)”.
Come l’hanno aiutata i suoi genitori a fare le scelte che le sono presentate nel suo percorso?
“Sono sempre stati molto presenti, ma mai assillanti. Questo è un grande pregio che io riconosco sempre loro. Alla fine sono sempre stato io l’ultimo a prendere la decisione perché, anche quando c’è stata l’opportunità di andare a Milano, non è stato un obbligo nel senso di dirmi “Ti hanno preso, vai” , ma una domanda “Hai piacere di andare?”. Quindi è sempre stata una scelta mia, che forse è la cosa migliore perché ti forma il carattere in quando sono scelte mie che poi vanno portate a termine”.
In senso buono, lei ha quasi una doppia personalità: a vederla ha un viso pulito e l’aria che studia fisica all’università e poi in campo si trasforma e diventa un leone. E’ sempre stato così? Si riconosce in questa descrizione?
“Sì, me lo hanno spesso detto. Ma più che altro quando entro in campo è più un discorso di agonismo, di competitività, non c’è persona che regga di fronte: l’obiettivo è vincere. Al di fuori è più un relazionarsi con le persone e quindi cerco di essere sempre posato ed educato nei modi giusti”.
Competitivo in campo e un po’ meno nella vita?
“Se lo si chiede alla mia ragazza no perché anche quando giochiamo a carte si lamenta che se perdo poi non le parlo più. Penso che sia una caratteristica di tutti gli sportivi: non puoi ammettere la sconfitta se no non hai la forza ogni giorno di allenati e metterti in discussione”.
Fisica è una materia che le piace?
“Matematica e fisica alle medie e alle superiori erano le materie che mi piacevano di più. Si capisce come funziona il mondo ed erano materie un po’ agnostiche e quando magari riuscivo a capirle era più soddisfacente”.
Adesso studia economia, da grande cosa vorrebbe fare?
“Ho iniziato il percorso universitario telematico per avere un piano b, per continuare se dovessi smettere con il calcio e volessi fare altro. Un modo per tenermi una porta aperta e non sentirmi obbligato di dover continuare con il calcio o farlo per forza, ma solo perché lo voglio e ho passione. Ma nel momento in cui non ne avrò più intraprenderò un’altra carriera, un altro modo di vivere”.
Parlando di piani B, fin da piccolo ha sempre voluto fare il calciatore?
“Ma sì, è sempre stato il sogno. C’è l’hanno un po’ tutti da bambini, però è sempre stato più d un sogno: un obiettivo”.
A lei piace anche il basket e suo fratello Sebastiano ci gioca. Lei non ci ha mai fatto un pensierino?
“Prima di giocare a calcio giocavo a basket, però quando si è piccoli le regole del basket sono più complicate e quindi non si possono fare subito le partite e sono magari più giochi di coordinazione, mentre i miei amici che giocavano a calcio facevano partite”.
E lei voleva la competizione …
“Sì, volevo la competizione e ho chiesto di giocare a calcio. Continuare i due sport contemporaneamente era difficile e papà spingeva per lo sport e mamma su inglese e musica quindi dovevo conciliare”.
Ha vinto il papà.
“Sì, prima è andato via il basket e poi la musica e infine l’ingese ed è rimasto solo il calcio”.
Che cosa suonava?
“Il pianoforte, ma non chiedetemi niente perché ero talmente piccolo che non ricordo niente”.
Quanto è alto?
“1,88 e per il basket forse solo playmaker, massimo una guardia in Italia, ma difficile”.
Con suo fratello però gioca ogni tanto?
“Ogni tanto, abbiamo anche un canestro a casa e quando c’è stato il lockdown ogni tanto giocavamo, però non c’è confronto”.
Lei è sempre stato alto, ma un po’ gracilino. Ha dovuto lavorare sul fisico?
“Sono uno di quei ragazzi che ha avuto la maturazione fisica più tardi. Fino a 14-15 anni ero ancora piccolo e mi ricorso che il primo anno a Milano ero 1,62 circa a 14 anni e due anni dopo ero 1,85. Ho avuto problemi di schiena e difficoltà, però mi è sempre piaciuto lavorare in palestra e fuori dal campo quindi ho sopperito a queste mancanze, a questi ritardi”.
Importante la struttura, ma anche prendere decisioni giuste nel suo ruolo?
“Come tutto nel calcio, si deve essere bravi nel modo più veloce possibile a fare la scelta giusta ed esserne convinto”.
Lei è mancino, però lavora anche molto bene di destro e ha ottima capacità d’inserimento. Quanto bisogna lavorare?
“Bisogna lavorare tanto . Provare n allenamento, conoscersi con i compagni, però poi sta tanto nella lettura del momento . Sono convinto che i gol che faccio che sono più di contropiede, d’inserimento o anche magari più di rapina non sono solo frutto del caso, ma a volte frutto della concentrazione, di un pensiero positivo: la palla arriva lì e io ci vado. Dopo che lo si fa tante volte prima o poi la legge dei grandi numeri dice che arriva la palla e dopo si deve essere bravo a fare gol”.
Di lei si è detto che è un centrocampista che può anche arrivare a 8-10 gol a stagione. Se dovesse dare un ordine d’importanza fra gol, struttura fisica e saper prendere decisioni quale sarebbe?
“Visto che il risultato è la cosa più importante mettiamoci il gol, poi le scelte ed infine la struttura fisica”.
Lei ha un caro amico cestista di Trieste, vi capite anche se gli sport sono differenti?
“Ci capiamo tantissimo io e Giancarlo Palombita. L’ho conosciuto tramite mio fratello perché giocavano insieme e lui ha visto n me un po’ quello che era lui da ragazzo. Un ragazzo che ha voglia di fare, determinazione e convinzione. Abbiamo subito avuto un legame speciale e spesso quando ci sono momenti no, momenti forti lui è sempre bravo a toccare i tasti giusti perché li ha vissuti in prima persona e infatti io ho un bellissimo legame con lui”.
Il suo idolo sportivo è LeBron James, in cosa vorrebbe assomigliargli?
“Una cosa che ammiro di lui, ma che spesso viene criticata, è che è convinto che si può essere sempre più di un giocatore. Ha il suo motto: “More than an athlet”, sempre più di un atleta. Noi siamo persone che fortunatamente che abbiamo un eco e una visibilità fuori dal normale e usarla semplicemente per i nostri tornaconti non ha senso e quindi, anche sbagliando, e prendendo posizioni è giusto farsi sentire e fare valere la propria voce”.
Lei lo fa?
“Ancora no, perché penso di essere ancora piccolo, giovane per avere un’idea forte e chiara, però spero in un futuro di farlo e di farlo bene, soprattutto”.
E’ vero che lei è un grande curioso?
“Sì, mi piace sempre informarmi. Se c’è qualcuno che mi accende un campanello mi piace andare a curiosare, a capire bene com’è nata la cosa e di cosa si sta parlando”.
Le piacciono le cose nuove e sperimentare e lo fa anche in cucina, è così?
“In cucina più che sperimentare mi affido alle ricette e le seguo: sono più un chimico che uno sperimentatore. Mi piace cucinare e soprattutto mangiare ciò che cucino”.
Dicono che sia un bravo chef e che abbia anche ricette sue. Qualche cosa l’ha inventata quindi?
“Qualcosina, quando c’’è il giorno libero mi pisce passarlo a cucinare, soprattutto quando ci sono brutte giornate: vado al supermercato faccio la spesa e poi passo il pomeriggio a cucinare”.
Racconti: che cosa cucina e qual è la sua ricetta migliore?
“Quello che amo di più sono i risotti e li provo in tutti i modi. Sono amante del tiramisù e dei dolci quindi anche in pasticceria ci provo, anche se è difficile però ci si prova. Sesso faccio una teglia, ma non la magio tutta e mi capita di mettere in congelatore o di regalarla ai vicini. E’ sempre un po’ un problema”.
Qual è il risotto che le viene meglio?
“Ai frutti di mare o quello con la salciccia, che è il mio preferito. E poi qua mi sa che siamo in zona buona”.
Cucina da solo o con la sua fidanzata Giulia?
“Sì, spesso quando passiamo il pomeriggio insieme e magari è brutto tempo e non abbiamo voglia di uscire ci mettiamo a cucinare e facciamo qualche cosa”.
La curiosità la spinge anche a viaggiare?
“Mi piacerebbe tantissimo, ma negli ultimi anni ho avuto poche vacanze e c’è stato il Covid di mezzo e non è stato comodissimo. Ma ho in piano di fare molti viaggi ed esperienze”.
Il primo paese che visiterà?
“Il Giappone. Mi piace la cultura e andare a vedere posti che non vedo in Italia e che sono completamente diversi. Una semplice casa, una strada è un’altra concezione di vita”.
La passione per i viaggi arriva dalla sua infanzia, dai suoi genitori?
“Sì, ho avuto la fortuna che fin da piccolo ogni estate abbiamo sempre fatto vacanze o all’estero o in Italia, spesso in luoghi di mare, ma anche nelle città per visitarle e poi d’inverno andavamo quasi sempre a sciare ed è un po’ un rammarico che ho adesso che non ci posso andare. Lo sci è uno sport che amo praticare e infatti commento sempre con la mia ragazza, che faceva sci agonistico, che appena smetto prendiamo un mese, andiamo in montagna e ogni giorno scierò”.
Qual è il suo ricordo più bello con la famiglia?
“Uno recente: abbiamo fatto una festa per i miei 18 anni, i 25 anni di matrimonio dei miei genitori e i 50 anni di mia mamma. Io ero appena tornato da Milano, se ricordo bene, ed è stato bellissimo perché vedevo proprio la felicità nei loro occhi ed io ero contento. Ci siamo riuniti ed è stato veramente bello”.
Nel calcio fin do ve si può spingere? Qual è il suo obiettivo personale?
“Per scaramanzia, non lo dico perché voglio tenermelo per me. Però come obiettivo ogni anno è fare meglio di quello precedente: fare un gol in più, avere una presenza in più … sempre in più, mettiamola così”.
Quando si è curiosi bisogna mettere un po’ da parte la paura, lei quando ha imparato a farlo?
“Chi fa il nostro sport e lavoro è obbligato a gestire la paura. E’ un ambiente estremamente competitivo nel quale da un giorno all’altro le cose cambiano. Ci sono tanti privilegi, ma è dura stare al passo e sempre sul pezzo. Quindi si deve imparare a gestire la pressione, si deve sapere come farlo e chi riesca a farlo prima ottiene migliori benefici”.
Il fatto di aver sempre giocato con ragazzi più grandi l’ha aiutata?
“Sicuro, loro avevano più esperienza e sono persone alle quali ci si può affidare e la pressione non viene riposta tutta in te, ma viene divisa all’interno della squadra e magari spesso chi ha più esperienza sa come aiutare il compagno più giovane e quindi sicuramente aiuta”.
Come si sta trovando a Torino e con il Torino?
“Mi sto trovando veramente bene sia con i gruppo sia con la città perché la sto vivendo bene, non é invadente e ha tutto ciò che una persona può desiderare”.
Qual è la zona che le piace di più di Torino?
“Io abito nel Quadrilatero romano, però spesso mi piace camminare in centro e vedere i palazzi reali: è sempre un bel vedere”.
Un po’ di movida ogni tanto, per quello che si può dato il periodo?
“Per quello che si può, magari se c’è il giorno libero dopo una partita, ma mai eccessivo”.
Trieste per il mondo granata è importante perché ha dato i natali a due personaggi importanti.
“Sì, appena sono arrivato mi hanno parlato di capitan Ferini e dell’allenatore Rocco, ma non sono così preparato sul calcio di quei temi, mi limito a sapere che ci sono stati e niente più”.
Avrà tempo per approfondire e grazie per il tempo dedicato.
“Grazie a voi”.