Un ultimo sforzo e poi subito la programmazione per il futuro
Fonte: Elena Rossin per TorinoGranata.it
Restando sempre con i piedi ben ancorati a terra perché bisogna ricordare il noto proverbio che ammonisce: “una rondine non fa primavera” a cinque punti dall’aritmetica salvezza, a fine campionato molto probabilmente si vedrà che ne sarebbero bastati anche meno, il Torino deve ovviamente prima di tutto conquistare quello che gli manca per restare in serie A e in contemporanea iniziare a programmare il futuro, perché la sfida più difficile inizierà dal prossimo campionato: confermare quello del ritorno nella massima divisione e stabilirsi sistematicamente nella prima colonna della classifica. Non è né facile né automatico.
La difficoltà primaria è che bisogna avere le idee ben chiare su come si vuole procedere per raggiungere il nuovo obiettivo: continuare con il gruppo attuale sfoltito di chi non è risultato idoneo o non è motivato a restare e con l’innesto di qualche giocatore che aumenti ulteriormente il tasso tecnico oppure attuare delle modifiche dovute alla cessione di giocatori, anche importanti, che vogliono andarsi a confrontare con realtà di primo piano o perché il costo per trattenerli non è confacente con le casse societarie. A questo va aggiunta la valutazione se è fattibile l’idea di puntare sui giovani, che devono risultare validi e non promesse che poi si perdono per strada, prendendoli a costi più che abbordabili in modo da farli crescere così che in un secondo momento diventino i naturali ricambi di chi smette per raggiunti limiti d’età o di chi preferisce accasarsi altrove.
I progetti vanno prima studiati nei dettagli e poi attuati apportando in corsa le doverose correzioni senza però stravolgerli, altrimenti si finisce per non realizzarli oppure per costatare che in fase di programmazione si erano fatte delle valutazioni errate o non si era tenuto conto di tutte le variabili o peggio ancora si era scelta una strada da percorrere senza grande convinzione.
Il tutto deve essere fatto con grande trasparenza nei confronti dei tifosi, perché si sa che i progetti per riuscire bene hanno bisogno di tempo e di pazienza e solo dicendo esattamente come si vuole procedere e spiegando il modo con il quale s’intende farlo si ottiene l’appoggio di chi permette al calcio d’esistere, in fin dei conti senza tifosi gli stadi sono semi vuoti, diminuiscono gli abbonamenti alle tv a pagamento che trasmettono le partite e infine gli sponsor non ritengono più appetibile il prodotto. Il tifoso non può essere considerato un semplice cliente bensì il più grande amico di presidenti, dirigenti, allenatori e calciatori e si sa che le conseguenze per chi tradisce un amico alla lunga sono ben peggiori di chi pugnala un nemico.