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Vendita Toro, regna l'incertezza

di Elena Rossin

Il Toro è in vendita. Ci sono imprenditori intenzionati a comprare? E se sì chi sono? Hanno solidità e disponibilità finanziaria? Sono tutte domande che i tifosi granata e anche gli addetti ai lavori si fanno da quando Urbano Cairo ha dichiarato, per la seconda volta in poco più di un anno, di voler lasciare a fine campionato. A queste domande se ne aggiunge una che desta ancora più apprensione: ma Cairo vuole realmente vendere il Toro? Risposte certe, che facciano chiarezza e fughino dubbi e apprensioni, allo stato attuale delle cose, non ce ne sono. Al momento si possono solo fare delle ipotesi, dei ragionamenti.

Se Cairo abbia o meno voglia di vendere il Torino solo lui in cuor suo o nella sua testa lo sa realmente. Altro non si può fare che attenersi a quanto lui ha dichiarato, poi il tempo dirà se le parole del patron granata sono vere e se si concretizzeranno in fatti. Giugno, mese entro il quale Cairo ha detto che vuole vendere, è alle porte, mancano solo tre mesi.
Una considerazione però va fatta: giugno è il peggior momento per vendere una società di calcio. Va premesso che per stabilire il prezzo è fondamentale – indipendentemente dalle proprietà immobiliari o dal parco giocatori che si posseggono o meno – sapere se la squadra è in serie A o in B e questo non è dato saperlo se non a campionato concluso playoff compresi nel caso in cui ….. (per scaramanzia non si scrive neppure).

Fatta la doverosa premessa, è obbligatorio sottolineare che le trattative per la compravendita dei giocatori non si svolgono solo durante il calciomercato, ma vengono impostate già in questo periodo per non dire già durante il mercato invernale, quindi come può la persona preposta a impostare le strategie di mercato e ad effettuare le trattative agire se non sa se continuerà a lavorare per la società, se non sa di quale budget disporrà, se non sa se l’allenatore sarà sempre lo stesso e di conseguenza quali calciatori serviranno per realizzare il tipo di gioco del mister? Certo quando si svolge professionalmente il proprio lavoro si va avanti comunque sulla linea che si è tenuta sempre, ma a prescindere dalla propria serietà non si ha la stessa credibilità con gli interlocutori come se si avessero delle certezze societarie. La conclusione di questo ragionamento è una sola: peggior momento per mettere in vendita una società non c’è.

Va da sé che se non è un buon momento per vendere non lo è neppure per comprare. Impostare una campagna acquisti a giugno, ipotizzando che la trattativa di compravendita della società si concluda con la fine del campionato e non si protragga neppure un secondo di più, vuol dire inevitabilmente che i costi per allestire una rosa competitiva, sia per la B sia per la A, sarebbero maggiori. Il calciomercato segue le normali regole di vendita: quando è noto che un compratore ha fretta ed esigenze specifiche i prezzi aumentano.

E’ logico che i tifosi del Toro siano preoccupati, come dar loro torto. Si può solo sperare che Cairo abbia già dei contatti con imprenditori interessati a comprare il Torino e che, parallelamente alla compravendita dell’attuale società, chi acquisterà imposti il mercato avendo le idee ben chiare su direttore generale, direttore sportivo, allenatore e di conseguenza giocatori, sia per la A sia per la B, e il portafoglio sufficientemente rifornito in modo da non partire con l’handicap e poi dover apportare correzioni in corsa, il recente passato ha insegnato che non portano a risultati positivi.