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Grande Torino, non solo leggenda ma stile di vita... da riprendere in mano

di Marina Beccuti

Oggi è il 4 maggio, un giorno funesto per gli amanti del calcio. Sono passati ben 69 anni dalla tragedia di Superga ma, nell'immaginario umano, non solo quello granata, è come fosse successa ieri. Quella sciagura aerea che spazzò via in pochi secondi la squadra più forte del mondo, l'equipaggio, parte della dirigenza e alcuni giornalisti.

Da quel momento nacque la leggenda e anche un po' di retorica, che non manca mai in queste situazioni. Ma la storia del Grande Torino è stata soprattutto una lezione di vita che non andrebbe mai dimenticata. La costruzione di un gruppo fortissimo tecnicamente, coadiuvato da una dirigenza moderna e virtuosa, con un direttore tecnico illuminato, l'ungherese Egri e un allenatore inglese, Lievesley che era un fiore all'occhiello del calcio italiano. Possiamo dire che già all'epoca il Toro era globale, non solo italiano, ma internazionale. Un Torino avanti anni luce rispetto alle altre squadre italiane, molto più provinciali che europee. Aveva visto lungo Ferruccio Novo, il più grande presidente che la storia del calcio ricordi.

Soprattutto era una squadra di amici, che si aiutavano, non solo in campo, ma anche fuori, molti di loro erano in società per altre attività, perchè all'epoca, nel calcio, non si guadagnava come ora. E una squadra è vincente se il gruppo è unito e non ci sono gelosie. Perchè puoi mettere insieme i più grandi campioni dell'epoca, ma se non si integrano tra di loro butti via i soldi. Invece ci vogliono i fuoriclasse e i gregari, che sanno di esserlo, ma non puntano i piedi, perchè aiutando i campioni diventano forti anche loro. Così è stato anche il Toro di Pianelli, che vinse un solo scudetto, pur meritandone altri, perchè fu costruito nell'ottica del Grande Torino, campioni in campo e fuori, nessuna primadonna e qualche gregario che entrò nella storia grazie al suo sacrificio per il bene comune. Come dimenticare, ad esempio, un certo Caporale? Tanto per fare un nome.

Era un calcio diverso, è vero, ma nulla esclude che la memoria aiuti a crescere anche nell'era moderna, che non ci piace molto, che non ci attira per niente, perchè molto è falsato dalle tv, dai soldi, dal gossip e anche da troppa cattiveria che aleggia nel mondo in generale. All'epoca c'era voglia di alzare la testa dopo una guerra che aveva distrutto tutto, cose e sentimenti, ma anche oggi c'è da superare altre guerre. Battaglie diverse ma non meno funeste e cattive. Anche il calcio ha bisogno di rialzarsi e lo deve fare con più umanità, passione, unione. Dove vinca davvero il più forte, in campo e non fuori. Questo calcio non ci interessa, non può piacere alle persone perbene.

Coloro che salgono al Colle devono credere in quella storia fino in fondo, non andarci solo per mettersi in mostra qualche minuto e poi tornare nel loro limbo nascosto.


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