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Marco Rossi, da Druento alla nazionale ungherese: "Euro 2020, ci crediamo. I club italiani puntino sui giovani"

di Claudio Colla

Commissario tecnico della nazionale maggiore ungherese dal giugno 2018, in una fase storica che sembra preludere alla rinascita del calcio magiaro, il 54enne Marco Rossi, nativo di Druento e cresciuto da calciatore tra le file del Toro, parla così della propria esperienza, e delle prospettive a essa connesse, ai microfoni di CM.it: "La vittoria contro la Croazia? Loro erano al completo, con giocatori come Perisic, Lovren e Rebic recuperati. Quando si gioca contro squadre sulla carta nettamente più forti serve la serata di grazia, sia sotto l'aspetto tattico, sia riguardo ìla qualità tecnica. Tante componenti hanno concorso al nostro successo. Il debutto di Dominik Szoboszlai? Finora aveva giocato solo in Under-19, e giovedì scorso ha esordito in Nazionale. Dominik ha qualità tecniche notevoli, ma di lui impressionano soprattutto la maturità e la freddezza. Alcuni grandi nomi hanno messo gli occhi su di lui, ma condivido la strategia del suo club che intende farlo crescere tra Salisburgo e Lipsia almeno per un campionato e mezzo, poi cederlo al miglior offerente. Si scatenerà un'asta, quindi una situazione in cui le squadre italiane, eccetto la Juventus, ammesso che sia in quel momento realmente interessata all'acquisto di Szoboszlai, faranno fatica a competere. La gara contro la Slovacchia? Conosco bene il talento di Hamsik, nella scorsa stagione ho lavorato in Slovacchia, al Fk Dac, dove ci siamo classificati al terzo posto, realizzando per numero di punti il miglior piazzamento della storia del club. Marek nel suo Paese ha vinto più volte il premio del Pallone d'Oro slovacco; penso che in futuro sarà sostituito da Skriniar come giocatore più rappresentativo. Contro di noi giovedì Hamsik ha disputato una buona gara: niente di eccezionale, ma in campo si comporta da giocatore di calcio europeo, non cinese. I principali talenti ungheresi del momento? I migliori giocano ancora in Under-19, come Csoboth del Benfica, Szereto, Schon, e Schafer che è andato al Genoa. Mi aspettavo trovasse più spazio, finora ha giocato solo in Primavera, credevo in qualche apparizione in prima squadra. In Italia c'è titubanza nel valorizzare i giovani: bisogna avere coraggio, e prendere esempio da Mancini che talvolta ha dato fiducia a ragazzi che ancora non avevano trovato continuità nel proprio club.

L'avventura che sto vivendo mi stuzzica. È una strada in salita, ma alla qualificazione al prossimo Europeo ci crediamo. I risultati non arrivano per caso; con le Nazionali non c'è tanto tempo per lavorare, ma cercheremo di fare il massimo sotto tutti gli aspetti. La scintilla riguardo alla volontà di fare l'allenatore è scattata quando ho giocato in Messico, all'America, con Marcelo Bielsa. Era ossessionato dalla tattica, ci faceva riprovare i movimenti un milione di volte, mi ha trasmesso quella passione. Quello del Campania Puteolana, con De Canio, Scienza, e Campilongo, era un gruppo molto valido, una delle squadre più forti viste a Pozzuoli. Arrivammo sesti in Serie C, ma avremmo anche potuto vincere il campionato, e andare in B, se non avessimo avuto problemi economici. La vita di una persona evolve in base alle esperienze, ma se più giocatori di quella formazione hanno poi scelto di allenare, il merito è sicuramente anche di Gastone Bean, il nostro tecnico nella stagione 86-87".


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