Interdizione UEFA nei confronti del Presidente della FIGC: “Ci siamo fatti riconoscere”

Interdizione UEFA nei confronti del Presidente della FIGC: “Ci siamo fatti riconoscere”

Nota di Massimo Rossetti, responsabile area giuridico-legale di Federsupporter.

09.10.2014 18:34 di  Marina Beccuti   vedi letture
Interdizione UEFA nei confronti del Presidente della FIGC: “Ci siamo fatti riconoscere”
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(Avv. Massimo Rossetti, Responsabile dell’Area Giuridico – Legale di Federsupporter)

Si è appreso il 7 ottobre scorso di un provvedimento UEFA che dichiara ineleggibile per i prossimi sei mesi l’attuale Presidente della FIGC, Rag. Carlo Tavecchio, nelle Commissioni della stessa UEFA e interdetto a partecipare al primo Congresso di quest’ultima che si terrà nel marzo 2015.

Quanto sopra a seguito delle dichiarazioni del sunnominato rilasciate il 25 luglio scorso in occasione della presentazione della sua candidatura alla Presidenza federale.

Come è noto, allora egli disse: “L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare, noi, invece, diciamo che Optì Pobà è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree”.

Tali parole apparivano immediatamente e oggettivamente come un tipico comportamento discriminatorio, vietato e sanzionato dall’art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC, secondo cui “Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale (riferimento successivamente eliminato ndr) o etnica”.

Peraltro, era pressoché scontato, come, poi, è puntualmente avvenuto, che la condotta del Rag. Tavecchio sarebbe stata oggetto di inchiesta UEFA, atteso che il sopra riportato art. 11 altro non era ed è se non il recepimento nell’ordinamento calcistico nazionale della disciplina della medesima UEFA (Codice Disciplinare che vieta e sanziona l’insulto alla dignità umana di una persona o di un gruppo di persone, con qualsiasi mezzo, anche per motivi legati al colore della pelle, alla razza, alla religione o all’origine etnica).

Il comune buon senso e un minimo di prudenza, nonché il rispetto di quei doveri di correttezza, lealtà e probità che l’ordinamento sportivo solennemente afferma e prescrive a tutti i tesserati, avrebbero dovuto sconsigliare il mantenimento di quella candidatura.

E ciò per scongiurare poco commendevoli e imbarazzanti situazioni che si sarebbero potute verificare, qualora, sia in sede nazionale sia in sede UEFA, fossero intervenute decisioni a carico del Rag. Tavecchio successive alla sua elezione alla Presidenza federale.

In questa ottica Federsupporter, sin dal 31 luglio scorso, segnalava formalmente alla Procura federale presso la FIGC e alla Procura Generale dello Sport presso il CONI (cfr. www.federsupporter.it) la necessità e urgenza di un pronunciamento sulla delicata questione.

Pronunciamento tale da evitare futuri contrasti con pronunciamenti UEFA: sia tenuto conto della particolare severità in materia della normativa calcistica europea sia dell’accentuato rigore degli Organi disciplinari della stessa UEFA nel valutare e giudicare condotte catalogabili come discriminatorie.

Severità e rigore resi ancor più probabili, per non dire certi, nel caso in esame, in quanto le dichiarazioni incriminate provenivano, non da un quivis de populo, bensì dal Presidente di una Lega nazionale (Lega Dilettanti) e candidato alla Presidenza di una Federazione calcistica nazionale, tra le più importanti in Europa: la qual cosa rappresentava una evidente, notevole aggravante.

Nonostante tutto ciò, inopinatamente, la Procura federale presso la FIGC il 25 agosto scorso archiviava la vicenda, in maniera lapidaria, dichiarando che non erano “emersi fatti di rilievo disciplinare sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo”.

Con lettera aperta del successivo 27 agosto alla Procura Generale dello Sport presso il CONI (cfr. www.federsupporter.it) Federsupporter rilevava che la suddetta archiviazione non appariva rispondente a quanto previsto dal nuovo Codice di Giustizia Sportiva dello stesso CONI, poiché priva di una, sia pur succinta, motivazione.

Dire, infatti, che non erano emersi fatti disciplinarmente rilevanti sotto il profilo oggettivo e soggettivo è una mera petizione di principio, un puro e semplice dispositivo, ma non una, sebbene succinta, motivazione, dovendosi intendere per quest’ultima una, sia pur concisa, esposizione dei motivi, in fatto e diritto, su cui la decisione è fondata (artt. 132 e 133 CPC, conformi all’art. 111, sesto comma, della Costituzione, secondo cui “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”, nonché in conformità, quale norma di chiusura, all’art. 2 “Principi del processo sportivo” , sesto comma, del nuovo Codice di Giustizia Sportiva del CONI che stabilisce “Per quanto non disciplinato, gli organi di giustizia conformano la propria attività ai principi e alle norme generali del processo civile, nei limiti di compatibilità con il carattere di informalità dei procedimenti di giustizia sportiva”).

Per venire ora a quanto stabilito dall’UEFA nei confronti del Rag. Tavecchio, è necessario, innanzitutto, dare alla decisione la corretta e appropriata qualificazione giuridica.

Si tratta di un’applicazione della pena su richiesta delle parti, comunemente nota come patteggiamento.

Essa consiste in un accordo tra accusa e interessato sull’entità della sanzione da irrogare e, implicitamente, sull’affermazione di colpevolezza dell’interessato stesso.

A quest’ultimo proposito, mentre una precedente giurisprudenza era orientata a ritenere che il patteggiamento costituisse una pronuncia giurisdizionale sui generis , non catalogabile come di condanna, la successiva giurisprudenza (Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza n. 17781 del 23 maggio 2006) lo ha equiparato a una sentenza di condanna.

Ciò anche perché l’originario comma 1 dell’art. 445 CPP è stato sostituito dal comma 1 bis, di cui all’art. 1, comma 1, lettera a, della legge 12 giugno 2003, n. 134; comma che, con riferimento alla sentenza di patteggiamento, stabilisce che “salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”.

A ulteriore conferma di tale equiparazione, si tenga presente che l’art. 39, comma 2, del nuovo Codice di Giustizia Sportiva del CONI attribuisce alla sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta delle parti la stessa efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso, della sentenza penale irrevocabile di condanna.

Pertanto, tutti i tentativi in corso da più parti, anche da organi di informazione, evidentemente disinformati e disinformatori, di sminuire e sottovalutare  (la notizia e i relativi commenti, salvo qualche rara eccezione, sono stati e sono relegati solo nelle ultime pagine, con ben poca evidenza, nonché nei titoli di coda di notiziari radio – televisivi) l’importanza e la gravità, non tanto e non solo sul piano delle conseguenze pratiche, quanto, soprattutto, sul piano etico e dell’immagine complessiva delle nostre Istituzioni sportive, di quanto stabilito dall’UEFA, dimostra l’insensibilità e la superficialità nel trattare un argomento del genere.

Quale contrappunto, si è dato e si dà, invece, ampio spazio e notevole risalto alla querelle sull’arbitraggio della partita Juventus – Roma del 5 ottobre scorso, alle dichiarazioni, meglio, anzi, peggio, agli insulti, alle offese, alle insinuazioni che ne sono seguite e ne seguono (a proposito, complimenti al Presidente della Roma , Pallotta, il quale, rara avis, forse perché cittadino americano, dotato di maggiore cultura e spirito sportivi, con apprezzabili signorilità e moderazione, ha saputo sottrarsi al becero cimento cui, viceversa, hanno pensato bene di partecipare, trasversalmente, parlamentari, all’evidente ricerca di pubblicità e consenso a buon mercato, con strampalate interrogazioni e interpellanze e inconferenti esposti).

A qualcuno, dunque, è parso e pare ben poca cosa, sotto il profilo della reputazione e della dignità del nostro calcio e, direi, senza esagerare, dell’Italia, che il massimo esponente del suddetto calcio venga escluso per sei mesi, su una durata complessiva della carica di due anni, dai consessi calcistici europei.

Ci si accontenta del fatto che il Rag. Tavecchio possa continuare a operare nell’ambito della FIGC e che possa (udite, udite) accompagnare e rappresentare la nostra Nazionale di calcio anche all’estero.

Si consolerà, potendo godere dell’affettuosa compagnia del suo alter ego , del suo mentore, del suo Grande Elettore, del suo difensore d’ufficio, di quel “guerriero” del quale, come in un famoso film giapponese, egli rappresenta “l’ombra”.

Di colui il quale, senza, a quanto consta, aver ricevuto alcuna specifica delega in tal senso, con decisione del Consiglio federale, pubblicata mediante Comunicato ufficiale, firmato dal Presidente e dal Segretario della FIGC (art. 27, comma 5, dello Statuto e art. 13, comma 1, delle NOIF), si è autoattribuito anche l’incarico di seguire, quale Consigliere federale, l’attività e le prestazioni della suddetta Nazionale.

Di colui il quale, altresì, anche in questa occasione, non ha fatto mancare il suo commento, replicando a chi, giustamente, ha azzardato l’ipotesi di un “passo indietro”, sebbene tardivo, del Rag. Tavecchio, “Non c’è alcun vulnus per il calcio italiano, e le mistificazioni e strumentalizzazioni non sortiranno effetto”.

Si capisce, che “vulnus” volete che sia che il massimo esponente del calcio italiano rimanga estromesso per sei mesi dai massimi consessi del calcio europeo ? Ma chi se ne frega ! E’, poi, le “mistificazioni e le strumentalizzazioni” (quali ? Da parte di chi ? Forse del solito complotto “demo – pluto – massonico – giudaico internazionale ? Della “Spectre” ? Dell’Isis ? ndr) non avranno effetto”.

Che non “avranno effetto” non è da dubitare, considerato che il nostro calcio, ormai da tempo, ci ha abituato a mostrarsi del tutto tetragono al rispetto di ogni regola, in specie di quella che imporrebbe ai propri consociati l’osservanza dei doveri, prima etico – morali che giuridici, di correttezza, lealtà e probità.

Per concludere, a me tutta questa – triste – vicenda fa tornare alla memoria quella battuta del grande Alberto Sordi nel film del 1966 “Fumo di Londra” , il quale, a nostri connazionali maleducati in visita nella Capitale britannica, diceva “Non facciamoci riconoscere”.

 

Ecco, anche questa volta, viceversa, “Ci siamo fatti riconoscere”.

 

Avv. Massimo Rossetti

 

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